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La maldicenzariflessioni bibliche sulla maldicenza e la gelosia

La pettegola  e  la gallina

A una donna che si accusava di frequenti maldicenze, San Filippo Neri domandò: "Vi capita proprio spesso di sparlare così del prossimo?".
Molto spesso, Padre", rispose la donna.
"Figliola, il vostro errore è grande. E' necessario che ne facciate penitenza. Ecco cosa farete: uccidete una gallina e portatemela subito, spennandola lungo la strada da casa vostra fin qui".
La donna ubbidì, e si presentò al santo con la gallina spiumata.
"Ora", le disse Filippo, "ritornate per le strade attraversate e raccogliete ad una ad una le penne della gallina...".
"Ma è impossibile, Padre", ribattè la donna; "col vento che tira oggi non si troveranno più".
"Lo so anch'io", concluse il santo, "ma ho voluto farvi comprendere che se non potete raccogliere le penne di una gallina sparpagliate dal vento, come potrete riparare a tutte le maldicenze gettate in mezzo alla gente, a danno del vostro prossimo?".


Mosè aveva un fratello e una sorella, Maria, la più anziana. Da giovane ella aveva vegliato sul piccolo Mosè (Esodo 2:4,7). Era una profetessa (Es. 15:20). Si sentì forse spodestata della sua influenza per il ritorno di Sefora (cfr. Es. 18:5 e Num. 12:1). Comunque coinvolse nel suo scontento Aaronne ed entrambi parlarono contro Mosè: « L'Eterno ha egli parlato solo per mezzo di Mosè? Non ha egli parlato anche per mezzo nostro? » (v. 2). La "moglie Cuscita" era un pretesto, il motivo profondo era la gelosia. Del resto Mosè era solo l'ultimogenito; suo fratello e sua sorella volevano ben credere che Dio avesse parlato per mezzo di lui, ma anche per mezzo di loro. A loro ripugnava il dover accettare l'influenza crescente che Dio conferiva al suo servitore, mentre avrebbero dovuto riconoscere il posto di autorità che gli era stato affidato.
Non è forse così, spesso, tra noi? Per gelosia o per dispetto, ci mettiamo a parlar male di tale o tal fratello, anche di un servitore del Signore. Ci si compiace nella maldicenza, nel riferire un male forse reale, ma con lo scopo di disprezzare agli occhi del proprio interlocutore colui che l'ha commesso. Si va anche fino alla calunnia, raccontando ciò che è falso, o fortemente esagerando. Il male prodotto è irreparabile. Dopo esserci umiliati davanti al Signore, potremo ben scusarci col nostro interlocutore (non con colui sul conto del quale abbiamo fatto della maldicenza o della calunnia, cosa che lo affliggerebbe ancor più) e pregarlo di dimenticare, ma nel frattempo il male si sarà già sparso e avrà fatto la sua opera. Tre cose, dice un proverbio arabo, non possono essere trattenute: la freccia che vola, la parola detta, il tempo passato. Giacomo avverte: « Se uno... non tiene a freno la sua lingua... la religione di quel tale è vana! » (Giac. 1:26). Pensiamo anche all'effetto prodotto sui bambini che troppo spesso sentono nella famiglia maldicenze e critiche.

Levitico 19:16 l'aveva precisato: « Non andrai qua e là facendo il diffamatore fra il tuo popolo ». L'apostolo Pietro ne sottolinea tutta la gravità: « Gettando dunque lungi da voi... ogni sorta di maldicenze, ... appetite il puro latte spirituale... se pure avete gustato che il Signore è buono » (1 Pietro 2: 1-3). Questo "se pure" non sembra forse mettere in dubbio che si possa aver gustato la bontà del Signore se ci si dà alla maldicenza? Questa è da principio concepita nel cuore, poi nei risentimenti che si nutrono contro l'uno o l'altro, o nell'importanza che si attribuisce a se stessi; poi il nemico sa suscitare l'occasione propizia per pronunciare la parola malvagia. Si vorrà far vedere che "si sa quella certa cosa"; troppo spesso, poiché si manca di soggetti di conversazione, si sparla degli altri. E tali "rivelazioni" sono come « ghiottonerie » (Prov. 26:22) per quelli che le ascoltano! « La lingua è un piccolo membro... un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta » (Giac. 3:5).
È fatta una promessa al Salmo 15 a colui che non maledice con la sua lingua: egli « dimorerà nella tenda dell'Eterno »: comunione benedetta col Signore di colui che ha vegliato sulle sue labbra. Davide supplicava: « Siano grate nel tuo cospetto le parole della mia bocca e la meditazione del mio cuore » (Salmo 19:14). Le risoluzioni e i buoni propositi esteriori non sono un soccorso sufficiente: la lingua non può essere domata. È l'essere interiore che deve essere cambiato, rinnovato, trasformato. Bisogna giudicare i pensieri malvagi che ci spingono a sparlare del nostro fratello, o anche a calunniarlo, quando sono ancora in noi.

Oggetto della maldicenza da parte del fratello e della sorella, Mosè tace. Ma « l'Eterno l'udì », e li convoca, tutti e tre, alla tenda di convegno; poi fa venire davanti a sé solo Aaronne e Maria. Egli prende la difesa del suo servitore, fedele in tutta la sua casa, col quale egli parla a tu per tu, e che vede la sembianza dell'Eterno: « Perché non avete temuto di parlar contro il mio servo, contro Mosè? E l'ira dell'Eterno s'accese contro loro... ed ecco che Maria era lebbrosa; Aaronne guardò Maria, ed ecco era lebbrosa ». La profetessa, che aveva cantato le lodi dell'Eterno, doveva essere, d'ora in poi, esclusa dal campo, e continuare così la sua vita, fino a quando la morte la libererà dalla sua orrenda malattia.
Quale tragedia! Dio non prende queste cose alla leggera. La coscienza di Aaronne e di Maria parla. Essi si pentono. Riconoscono il loro peccato, per il quale hanno agito stoltamente. Aaronne, benché sacerdote, non è in grado di pregare per sua sorella. Alla sua domanda pressante, Mosè, che per la prima volta nel nostro testo apre la bocca, senza alcun risentimento grida all'Eterno: « Guariscila, o Dio, te ne prego ». Ma la disciplina deve seguire il suo corso. Maria sarà guarita, a condizione però che porti « la vergogna per sette giorni », lasciata fuori del campo. Tutto il popolo ne soffre con lei e non parte finché Maria non è riammessa.

« Perché dunque non avete temuto di parlare contro il mio servo? ». Queste parole non risuonano forse anche alla nostra coscienza? Senza dubbio, ogni servitore del Signore ha i suoi mancamenti e le sue deficienze (Giac. 3:2); non è questa una ragione per metterle in evidenza e servirsene contro di loro. Al contrario, l'amore copre gli errori altrui; ne parla col Signore perché Egli corregga e guarisca; oppure direttamente con l'interessato se, in casi particolari, egli è condotto a farlo. Sparlare di servitori di Dio, di nostri fratelli, chiunque essi siano, non può che attirare la disciplina del Signore su noi stessi, ostacolando la comunione con lui, rendendo vano il nostro servizio, producendo aridità nell'anima, e dei frutti spesso molto amari.
Non dovremmo prendere molto più a cuore questo peccato di maldicenza che noi commettiamo con così tanta leggerezza? Non accogliamo più i commenti sfavorevoli che qualcuno ci fa, e rispondiamo come ha fatto un fratello ad uno che ne criticava un altro: "Vado a parlargliene"; e l'interlocutore subito lo pregò di non farlo! Nel giudizio di noi stessi, cercare le cause che ci hanno condotto a fare della maldicenza, giudicarle veramente davanti a Dio, e accettare, se occorre, la vergogna e la correzione necessarie.


(dal libro "Il cammino nel deserto", di Georges Andrè, edito da: Il messaggero cristiano)
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