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LE CATECHESI AGLI SPOSI
 
tenute da Mons. Carlo Caffarra a Radio Maria
 
INDICE
 
 
Pag.        3    Introduzione.

 

Pag.        4    Grandezza e fragilità dell'amore coniugale.

 

Pag.        8    I figli, preziosissimo dono del matrimonio.

 

Pag.      14    La sacramentalità del matrimonio.

 

Pag.      19    La vocazione coniugale.

 

Pag.      24    Le virtù degli sposi.

 

Pag.      30    La preparazione al matrimonio.

 

Pag.      34    Il sacramento diventa dramma: le crisi nel matrimonio.

INTRODUZIONE
  
Queste catechesi sono state reperite su internet al sito www.freeweb.org/religioni/famiglia/index dopo un’accurata ricerca da parte di Gianluigi Cirilli. Lo stesso ha pensato di sistemarle ed impaginarle per dare la possibilità, a chi interessato, di poterle leggere liberamente e con fluidità senza sfondi colorati, banner e collegamenti ipertestuali tipici delle pagine web.

GRANDEZZA E FRAGILITÀ DELL'AMORE CONIUGALE
 
 
Durante questa conversazione cercherò di balbettare qualcosa sulla grandezza (e sulla fragilità) dell'amore coniugale. Ho detto "balbettare". L'amore, infatti, in particolare l'amore coniugale è un cosi grande evento e mistero che di esso si può solo balbettare. Ci faremo guidare dalla lettera del S. Padre.
Prima, tuttavia e purtroppo, dobbiamo fare quello che fece Mosé, prima di avvicinarsi al roveto ardente dove era presente il fuoco della Gloria di Dio. Egli, su ordine del Signore, si levò i calzari, perché stava per entrare in un luogo santo. Anche noi stiamo per entrare in un luogo santo, l'amore coniugale. Anche noi dobbiamo prima toglierci i calzari, cioè liberarci da tutte le idee sbagliate, i pregiudizi che oggi circolano sull'amore coniugale e che più o meno tutti respiriamo.
 
1. Il primo pregiudizio, il più tremendo, da cui dobbiamo liberarci se vogliamo penetrare nel grande mistero dell'amore coniugale, è quello di pensare che la libertà consista nel non prendere mai impegni definitivi. È di pensare che essere liberi significa non essere legati a nessuno. È di pensare che la forza più grande della nostra libertà consista nel dire "no", piuttosto che nel dire "sì". Ho detto che questo pregiudizio è tremendo. Non è una esagerazione. Chi, infatti, si lascia dominare da questo pregiudizio, può veramente giungere fino alla distruzione spirituale di se stesso e dell'altra persona. Mi spiego con un esempio.
Quando noi comperiamo una cosa, normalmente ci viene data con un certo periodo di garanzia. Che cosa significa "periodo di garanzia"? significa che tu da subito entri in possesso della cosa, tuttavia non intendi dare un consenso a tenerla per sempre, se non a condizione che tutto funzioni bene. Se l'esperimento non ha un buon risultato, ciascuno si riprende ciò che è suo.
Proviamo ora a trasferire questo "contratto con garanzia" al rapporto uomo-donna nel matrimonio. I due non si uniscono se non "a condizione che" tutto funzioni bene; se il risultato non è soddisfacente, ciascuno si riprende il suo. Ecco, vedete: si ha qui una sorta di contratto di uso reciproco, nel quale ciascuno non intende impegnarsi per sempre. Ciascuno prova ad usare altro. C'è qualcosa di tremendo in tutto questo, perché si riduce la persona propria e dell'altro ad una cosa di cui fare uso. "Usa e getta", dice chi si lascia dominare dal pregiudizio che essere liberi significhi non assumersi mai impegni definitivi.
Chi si lascia prendere da questo pregiudizio, solitamente apre il suo cuore ad un secondo pregiudizio, ugualmente molto pericoloso. Vorrei spiegarvelo partendo da alcuni esempi molto semplici.
Se noi in una giornata molto calda passiamo davanti ad un banco di gelati ed abbiamo molta sete, subito sentiamo un grande desiderio di comperarne uno e mangiarlo. Se, al contrario, non abbiamo sete, il gelato non esercita su di noi nessuna attrattiva. Proviamo a riflettere un poco su questa esperienza. Notiamo subito che l'oggetto che attira la nostra attenzione, non ha in se stesso un suo proprio valore: interessa in quanto è capace di spegnere la nostra sete. Se non ho sete, esso non esercita più nessun interesse. È la mia sete che rende così interessante il gelato. Vale, insomma, perché ne ho bisogno.
Ecco, tenete ben presente nella mente questo esempio. Il secondo pregiudizio sull'amore coniugale consiste nel confondere l'amore con l'attrazione, col bisogno che sento di un'altra persona per la mia felicità. L'altra persona vale perché mi soddisfa, perché ne ho bisogno. Perché si tratta di una tremenda confusione?
Facciamo un altro esempio. Sulle case deve essere costruito un tetto: ovviamente perché non vi piova dentro. Lo stesso problema valeva anche per la basilica di S. Pietro: quando fu costruita doveva essere completata col tetto. Era necessario, a questo scopo, perché non piovesse dentro la basilica, costruire la cupola? Non solo non era necessario ma era molto più difficile e molto più costoso. Allora perché Michelangelo volle e costruì la cupola e non un semplice tetto? Perché la cupola è bella. Essa cioè meritava di essere voluta (=costruita) a causa della sua intrinseca bellezza. Ecco, vedete: si può volere una cosa, ed anche una persona, in due modi profondamente diversi. Puoi volere qualcuno o qualcosa perché ne senti il bisogno; puoi volere... perché semplicemente merita di essere voluto, amato. Nel primo caso, è il tuo desiderio che conferisce valore all'oggetto voluto; nel secondo caso, è l'oggetto che, a causa del suo valore, suscita in te il desiderio.
Finalmente, possiamo ora dire brevemente in che cosa consiste il secondo pregiudizio sull'amore coniugale: confondere l'amore coniugale con l'attrazione, col bisogno che sento di possedere l'altra persona per la mia felicità.
Potete anche vedere facilmente come questi due pregiudizi sono legati fra loro. Se vuoi una persona per il bisogno che ne senti, la vuoi solo se e solo fino a quando ella è in grado di soddisfare il tuo desiderio di essa. L'amore coniugale diventa un contratto a rischio.
Esiste, infine, un terzo pregiudizio sul quale vorrei attirare la vostra attenzione. È il pregiudizio che sia possibile un amore vero senza una profonda unità spirituale, che cioè l'amore si possa ridurre ad un'unione fisica-sessuale. Come vedremo, l'amore coniugale è anche profonda intimità sessuale. Il pregiudizio oggi molto diffuso è che sia possibile separare la sessualità dall'amore; che "amare" significhi semplicemente "avere rapporti sessuali". In una parola: ridurre il rapporto uomo-donna alla sessualità, separandola dall'unione spirituale e chiamare questo "amore".
Sono tre pregiudizi. Di essi dobbiamo completamente liberarci, se vogliamo comprendere il mistero dell'amore coniugale. Essi infatti, riducono ed impoveriscono la nostra libertà, e l'amore coniugale è la suprema manifestazione della libertà. Riducono ed impoveriscono la nostra capacità di desiderare, e l'amore coniugale è la suprema manifestazione della capacità del dono. Riducono ed impoveriscono la sessualità umana, e l'amore coniugale è la rivelazione della ricchezza integrale della sessualità umana.
 
2. Se ci siamo liberati da questi pregiudizi, se ci siamo levati come Mosé i calzari, possiamo ora entrare nel mistero dell'amore coniugale.
La caratteristica con cui immediatamente ci si presenta l'amore coniugale è che esso esiste solamente fra un uomo e una donna e non può esistere fra persone dello stesso sesso (come altre forme di amore). Se consideriamo la differenza fra l'uomo e la donna, una differenza puramente biologica, siamo dei superficiali. Partiamo, dunque, dalla riflessione su questo punto: è la porta d'ingresso nel mistero dell'amore coniugale. Vi ricordate come la S. Scrittura racconta la creazione dell'uomo e della donna?
L'uomo (maschio) si sente solo ed in questa solitudine soffre. Mentre dopo che il Signore, creato ogni cosa, vedeva che tutto era ben fatto, ora vedendo l'uomo in questa condizione, dice: "Non è bene che l'uomo sia solo". Non è bene: l'uomo in questa condizione di solitudine, non ha raggiunto la pienezza del suo essere umano. In realtà, sembrava che l'uomo non fosse solo: c'erano gli animali e le piante. Ma essi non erano persone: erano qualcosa, non qualcuno. Ora, che cosa fa il Signore? crea un altro uomo? crea la donna. Nella comunione reciproca fra l'uomo e la donna, la persona raggiunge la sua pienezza. Ed Adamo canta la sua prima canzone di amore: "questa sì che è carne della mia carne...".
Ecco abbiamo pronunciato la parola "chiave" che ci apre il mistero dell'amore coniugale: comunione interpersonale. Che cosa è? Quando noi siamo di fronte ad una persona possiamo avere tre attitudini fondamentali. Possiamo pensare (e dire): "come è utile che tu esista!". È l'attitudine di chi guarda l'altra persona, pensando quali vantaggi eventualmente possono derivargli dalla sua conoscenza, dalla sua amicizia. È l'attitudine utilitarista. Possiamo pensare (e dire): "come mi piace che tu esista!". È l'attitudine di chi guarda l'altra persona come fonte possibile di piacere, come qualcosa che può procurargli piacere. È l'attitudine edonista. Possiamo pensare (e dire): "come è bello che tu esista". È l'attitudine di chi guarda l'altra persona vedendone la sua dignità, la sua preziosità che la rende degna di esistere, il suo valore in se stessa e per se stessa. È l'attitudine amorosa: è l'amore.
Facciamo ora un passo avanti, nella scoperta dell'amore coniugale. Questa terza attitudine è propria dell'amore come tale, non solo dell'amore coniugale. Come è presente nell'amore coniugale? Approfondiamo quell'attitudine amorosa.
L'amore che vede la dignità, la preziosità infinita della persona suscita un sentimento di venerazione per essa che prende corpo nel desiderio di dono all'altro. Ora possiamo donare all'altro ciò che possediamo, ciò che abbiamo: il nostro tempo, per esempio, il nostro denaro, l'esercizio della propria professione. Oppure possiamo donare se stessi, la propria persona: semplicemente non il nostro avere, ma il nostro essere. C'è una diversità fra i due doni? Una diversità abissale.
Il dono di ciò che hai, può essere misurato: ...; il dono di te stesso non può essere misurato; o è totale o non esiste per niente. Il dono di ciò che hai può essere misurato nel tempo: ...; il dono di se stesso, proprio perché totale, non può essere limitato nel tempo: è definitivo, è eternamente fedele. L'amore coniugale è dono totale, definitivo di se stesso all'altra persona, perché si è vista in essa una tale preziosità da non meritare niente di meno che non la propria persona. Fra le migliaia di persone che ha visto, questa è stata vista in una luce assolutamente singolare. "Questa è unica e merita il dono totale e definitivo non di tutto ciò che ho, ma di ciò che sono: di me stesso": dice l'amore coniugale. Ecco perché, quando questo dono è accaduto, la persona non appartiene più a se stessa: si è donata per sempre.
Ma questo non è tutto il mistero dell'amore coniugale. Dobbiamo ora chiederci: come accade questo dono?
Esso avviene, nella sua forma più alta, attraverso l'atto con cui i due sposi diventano fisicamente e spiritualmente una sola persona. La sessualità coniugale è il linguaggio dell'amore coniugale: è la sua realizzazione più alta.
Vi ricordate che avevamo detto: la comunione interpersonale è l'essenza stessa dell'amore coniugale. E ci siamo chiesti: ma in che cosa consiste? È la comunione che consiste nel dono di se stessi che reciprocamente gli sposi si fanno, un dono totale e definitivo, che si realizza e si esprime nella sua forma più alta nel divenire una sola carne nell'unione sessuale.
In conseguenza di questo dono, essi si appartengono reciprocamente per sempre.
 
3. Abbiamo parlato della grandezza dell'amore coniugale. Ma come ogni realtà grande, esso è anche molto fragile. Esso può essere rovinato, anche dagli sposi stessi. Dunque, ci sono pericoli. Quali sono, oggi, i più gravi, da cui guardarsi?
Il primo, il più grave di tutti è l'egoismo: è l'antitesi del dono di sé, e quindi dell'amore... la persona è se stessa solo nella misura in cui si dona.
E qui entriamo nella considerazione di un altro pericolo: concepire la propria libertà come autonomia, come affermazione di se stessi contro l'altro. La libertà non può essere intesa come facoltà di fare qualsiasi cosa: essa significa dono di sé. Quando lo sposo ha detto: "io prendo te come mia legittima...", ha detto: da ora in poi tutta la mia libertà consisterà nel dimenticare me stesso per essere un puro dono fatto alla tua persona.
Egoismo e libertà male intesa generano nel cuore degli sposi un'altra malattia del loro amore coniugale: l'individualismo (cfr. Lettera alle famiglie, pag.47-49).
 
CONCLUSIONE
Permettetemi di concludere con un piccolo racconto. C'era una volta una persona che era talmente stolta che, quando si alzava alla mattina, non riusciva mai a ritrovare i suoi vestiti. Alla sera, non si decideva mai ad andare a dormire sapendo che poi al mattino avrebbe fatto fatica a ritrovare i suoi vestiti. Finalmente una sera trovò la soluzione: prese penna e carta e annotò il luogo dove deponeva il vestito. La mattina tirò fuori allegramente il suo taccuino e lesse: "la camicia", eccola e se la infilò e così via, fino a che ebbe indossato tutto. "Si, ma io dove sono?" si chiese allora ansiosamente. Invano cercò, cercò e non riuscì a trovarsi.
Il Concilio Vaticano II ha detto una grande cosa: l'uomo ritrova se stesso solo attraverso il dono di sé.
L'uomo oggi sa tutto sui suoi vestiti, cioè su ciò che è più esterno al suo mistero. E su se stesso?

I FIGLI, PREZIOSISSIMO DONO DEL MATRIMONIO
 
 
Iniziamo oggi la nostra Catechesi con una bella affermazione fatta dal Concilio Vaticano II: «Il Matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli, infatti, sono il preziosissimo dono del Matrimonio». Parleremo dunque, oggi dell'amore coniugale in quanto luogo in cui viene concepita ed educata la nuova persona umana.
 
1. Cominciamo subito col notare quella parola, piena di bellezza e di mistero, che il Concilio, la Chiesa usa parlando della nuova persona: è un «dono», anzi un dono «preziosissimo». Un dono fatto da chi? un dono fatto a chi? che cosa significa che una persona è «in se stessa un dono»?
Il figlio è un dono fatto dal Signore. È questo uno dei misteri più profondi della nostra esistenza. Nessuno di noi è venuto all'esistenza per caso o per necessità. Ciascuno di noi è venuto all'esistenza perché è stato singolarmente voluto dal Signore: ciascuno di noi, prima di essere concepito sotto il cuore di una donna, è stato concepito nel cuore di Dio. Dio ha pensato a ciascuno di noi e ci ha voluti. Tuttavia, qui noi ci imbattiamo in un grande evento. Il Signore Iddio non ha voluto collaboratori quando ha creato l'universo materiale, ma quando decide di creare la sua creatura più preziosa, la persona umana, vuole avere cooperatori in questa sua opera, cioè gli sposi. Possiamo tentare di capire un po' questo grande mistero. Se ci sono madri che mi ascoltano sono sicuro che saranno d'accordo su quanto dirò.
Quando la prima donna della storia, Eva, si rese conto per la prima volta di essere diventata madre, disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore» (Gen. 4, 1). Perché non disse: «Ho generato un figlio»? Possiamo avere una qualche esperienza che nel suo corpo è accaduto un atto creativo di Dio? Sì, con la seguente semplice riflessione. Quando due sposi vogliono diventare genitori e vogliono un bambino, non possono decidere che sia questi piuttosto che un altro. Chi sia in realtà il bambino/a da loro generato, lo vedono e lo sanno solo al momento della nascita e durante poi tutto il suo sviluppo.
Chi ha deciso che sia questi? Chi ha fatto essere questa persona piuttosto che un'altra? «Ho acquistato un uomo dal Signore» dice Eva. Cioè: il Signore mi ha donato questa persona. Dunque: all'origine di ogni persona sta un atto creativo di Dio. Ecco perché la persona umana non ha altro Signore all'infuori di Dio; ecco perché nessuno può disporre di se stesso e degli altri, come fossero nostra proprietà: ecco perché distruggere fisicamente o moralmente una persona umana, anche la più piccola, è un abominevole delitto contro Dio Creatore: un peccato che grida vendetta al suo cospetto. Ma ritorniamo al nostro tema.
Dunque, quando una nuova persona viene all'esistenza, Dio compie un atto di creazione: fa essere questa persona. Tuttavia, perché questo atto creativo possa accadere, è necessario che gli sposi, divenendo una sola carne, pongano le condizioni dell'atto creativo divino. Qui noi scopriamo la suprema grandezza dell'amore coniugale. Ascoltiamo quanto dice il Concilio Vaticano II: «Nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla [...] i coniugi sanno di essere cooperatori dell'amore di Dio Creatore come suoi interpreti». Cooperatori dell'amore di Dio Creatore! Con l'atto del loro amore coniugale, gli sposi aprono lo spazio a Dio perché, se lo vuole, crei una nuova persona umana. Anzi, l'atto dell'amore coniugale, mediante cui gli sposi diventano una sola carne, è il tempio santo in cui Dio celebra la liturgia del Suo amore creatore. Se la Chiesa prende tanta cura perché il tempio in cui celebriamo la liturgia eucaristica dell'amore redentore, come non deve prendersi cura del tempio in cui si celebra la liturgia dell'amore creatore, l'amore coniugale, perché sia bello? Ascoltiamo quanto dice il S. Padre (Lettera alle Famiglie 20, pag. 84-85).
Nella Nuova Alleanza, lo testimonia anche San Paolo parlando di Cristo come nuovo Adamo (cfr. 1 Or. 15,45): Cristo non viene a condannare il primo Adamo e la prima Eva, ma a redimerli; viene a rinnovare ciò che nell'uomo è dono di Dio, quanto in lui è eternamente buono e bello e che costituisce il substrato del bell'amore. La storia del «bell'amore» è, in certo senso, la storia della salvezza dell'uomo.
Il «bell'amore» prende sempre inizio dalla autorivelazione della persona. Nella creazione Eva si rivela ad Adamo, come Adamo si rivela ad Eva. Nel corso della storia le nuove coppie umane si dicono reciprocamente: «Cammineremo insieme nella vita». Così ha inizio la famiglia come unione dei due e, in forza del Sacramento, come nuova comunità in Cristo. L'amore, perché sia realmente bello, deve essere dono di Dio, innestato dallo Spirito Santo nei cuori umani ed in essi continuamente alimentato (cfr. Rm. 5,5). Ben consapevole di ciò, la Chiesa nel sacramento del matrimonio domanda allo Spirito Santo di visitare i cuori umani. Perché sia veramente il «bell'amore», dono cioè della persona alla persona, deve provenire da Colui che è Dono. Egli stesso è fonte di ogni dono.
Così avviene nel Vangelo per quanto concerne Maria e Giuseppe, che, alle soglie della Nuova Alleanza, rivivono l'esperienza del «bell'amore» descritto nel Cantico dei Cantici. Giuseppe pensa e dice di Maria: «Sorella mia, Sposa» (cfr. Ct. 4,9). Maria, Madre di Dio, concepisce per opera dello Spirito Santo, dal quale proviene il «bell'amore», che il Vangelo delicatamente colloca nel contesto del «grande mistero».
Quando parliamo del «bell'amore», parliamo per ciò stesso della bellezza: bellezza dell'amore e bellezza dell'essere umano che, in virtù dello Spirito Santo, è capace di tale amore. Parliamo della bellezza dell'uomo e della donna: della loro bellezza come fratelli e sorelle, come fidanzati, come coniugi. Il Vangelo chiarisce non soltanto il mistero del «bell'amore», ma anche quello non meno profondo della bellezza, che è da Dio come l'amore. Sono da Dio l'uomo e la donna, persone chiamate a diventare un dono reciproco. Dal dono originario dello Spirito «che dà la vita» scaturisce il dono vicendevole di essere marito o moglie, non meno del dono di essere fratello o sorella.
Tutto questo trova conferma nel mistero della Incarnazione, divenuto, nella storia degli uomini fonte di una bellezza nuova che ha ispirato innumerevoli capolavori artistici.
 
2. Vorrei ora precisamente riflettere con voi su due insegnamenti che la Chiesa ha dato proprio perché l'amore coniugale non cessi di essere il bell'amore, nello splendore della sua verità più profonda: cooperazione con Dio Creatore. Si tratta di due insegnamenti molto contestati, ma molto veri. Il primo dice che il ricorso alla contraccezione è sempre un atto ingiusto.
Ascoltiamo ancora una volta quanto dice il S. Padre nella già citata lettera.
I coniugi possono, in quel momento, diventare padre e madre dando inizio al processo di una nuova esistenza umana, che poi si svilupperà nel grembo della donna. Se è la donna a rendersi conto per prima di essere diventata madre, l'uomo con il quale si è unita in «una sola carne» prende a sua volta coscienza, attraverso la sua testimonianza, di essere diventato padre.
Della potenziale, e in seguito effettiva, paternità e maternità sono entrambi responsabili. L'uomo non può non riconoscere, o non accettare, il risultato di una decisione che è stata anche sua. Non può nascondersi dietro espressioni quali: «non so», «non volevo», «sei stata tu a volere». L'unione coniugale comporta in ogni caso la responsabilità dell'uomo e della donna, responsabilità potenziale che diventa effettiva quando le circostanze lo impongono. Ciò vale soprattutto per l'uomo che, pur essendo anch'egli artefice dell'avvio del processo generativo, ne resta biologicamente distante: è infatti nella donna che esso si sviluppa. Come potrebbe l'uomo non farsene carico! Occorre che entrambi, l'uomo e la donna, si assumano insieme, di fronte a se stessi e agli altri, la responsabilità della nuova vita da loro suscitata.
È conclusione, questa, che viene condivisa dalle stesse scienze umane. Occorre, però, andare più a fondo, analizzando il significato dell'atto coniugale alla luce degli accennati valori della «persona» e del «dono». È quanto fa la Chiesa con il suo costante insegnamento, in particolare nel Concilio Vaticano II.
Al momento dell'atto coniugale, l'uomo e la donna sono chiamati a confermare in modo responsabile il reciproco dono che hanno fatto di sé nel patto matrimoniale. Ora, la logica del dono di sé all'altro in totalità comporta la potenziale apertura alla procreazione: il matrimonio è chiamato così a realizzarsi ancora più pienamente come famiglia. Certo, il dono reciproco dell'uomo e della donna non ha come fine solo la nascita dei figli, ma è in se stesso mutua comunione di amore e di vita. Sempre dev'essere garantita l'intima verità di tale dono. «Intima» non è sinonimo di «soggettiva» . Significa piuttosto essenzialmente coerente con l'oggettiva verità di colui e di colei che si donano. La persona non può mai essere considerata un mezzo per raggiungere uno scopo: mai, soprattutto, un mezzo di «godimento». Essa è e dev'essere solo il fine di ogni atto. Soltanto allora l'azione corrisponde alla vera dignità della persona (Lettera n. 12, pag. 38-39).
Qui noi troviamo la prima, profonda ragione di questo insegnamento della Chiesa. Noi possiamo comprenderlo pienamente e spiegarlo, solo ricorrendo ai valori di persona e di dono. Ogni uomo e ogni donna si realizzano pienamente solo quando fanno della loro vita un dono.
Questo è vero di ogni persona, sposata o non. Ma per gli sposi, il momento dell'unione coniugale costituisce un'esperienza singolarissima di quella verità, della verità del dono. È allora che l'uomo e la donna, nella verità della loro mascolinità e femminilità, diventano reciproco dono. Certo, tutta la vita nel matrimonio è dono; ma ciò si rende singolarmente evidente quando i coniugi, offrendosi reciprocamente nell'amore, realizzano quella reciproca comunione che fa dei due «una sola carne». Ora, in alcuni periodi entra a far parte della reciproca donazione anche la capacità di donare la vita. Notiamolo bene. La fertilità umana non è un fatto puramente biologico: è una dimensione della persona. Essa può essere capita nella logica del dono. La fertilità della sposa è la capacità che ella ha di donare la paternità al suo sposo; la fertilità dello sposo è la capacità che egli ha di donare la maternità alla sua sposa.
Quando gli sposi, ricorrendo alla contraccezione, escludono positivamente questa dimensione della loro persona, essi alterano il valore di donazione insito nell'atto dell'unione coniugale. In questo modo, al linguaggio naturale che esprime la reciproca donazione degli sposi, la contraccezione impone un linguaggio obiettivamente contraddittorio, cioè il non donarsi totalmente all'altro. Si produce una falsità nel linguaggio dell'amore. Da una parte, questo è un linguaggio che in se stesso e per se stesso dice totalità di dono reciproco; dall'altra, in questo linguaggio si introduce una limitazione. Non si rispetta più l'intima verità del dono, perché e nel senso che la contraccezione non è coerente con la verità oggettiva di colui e di colei che si donano.
È questa una delle ragioni più profonde per cui la Chiesa insegna che la contraccezione è sempre ingiusta. Mi rendo conto bene che si tratta di una visione molto grande dell'amore coniugale e della fecondità umana. Non è un «no» che la Chiesa dice, è un grande «sì» alla bellezza, alla grandezza, alla dignità dell'amore coniugale e degli sposi. Sempre per aiutarvi a capire questo stupendo «sì», vorrei concludere con alcune riflessioni che, spero, renderanno più chiara la nostra catechesi su questo punto.
La prima. Il concepimento di una persona è il più grande evento che può accadere nella storia dell'universo. È quindi un atto che impegna al massimo le responsabilità dei coniugi. La procreazione deve essere responsabile. Questa responsabilità può anche esigere di non concepire per un certo periodo o di non procreare più. Può essere questo anche un obbligo grave davanti al Signore. In queste situazioni è lecito, allora, ricorrere alla contraccezione? Il Signore è mirabile nella Sua Sapienza: Egli ha disposto dei periodi di non fertilità nella sposa. Quando ci sono gravi ragioni per non procreare, quando esiste il dovere di non procreare, gli sposi devono astenersi nel periodo in cui la sposa è fertile, dall'avere rapporti coniugali. Non si comprenda tutto questo come una sorta... di tecnica. È qualcosa di molto profondo, un'attitudine dettata dall'amore. La scelta dei ritmi naturali comporta l'accettazione dei tempi della persona della sposa, e quindi del dialogo, del rispetto reciproco, della responsabilità comune del dominio di se stesso. Si approfondisce l'affezione coniugale, perché la sessualità è rispettata ed arricchita nella sua vera dimensione e non usata.
La seconda riflessione non è meno importante. Alcuni accusano la Chiesa di essere troppo dura, di non capire gli sposi, di allontanarli con la sua severità. Vorrei che gli sposi che mi stanno ascoltando, fossero particolarmente attenti ora a ciò che sto dicendo. La Chiesa dice la verità sull'amore coniugale, una verità che essa non inventa, non scopre: riceve dal Signore. Questa verità suona come rimprovero solo a chi ha già deciso di vivere contro essa. Per queste persone essa è dura, rigorosa e severa. Ma alle persone che non hanno deciso di vivere contro essa, ma che semplicemente sentono come essa sia difficile da vivere, la Chiesa dice: «non ti preoccupare, non avere paura! Il Signore ti dà la forza di vivere in pienezza la gioia della verità del tuo amore; ti perdona sempre, settanta volte sette, se tu ogni giorno cadessi settanta volte sette». Brevemente altro è dire: «questo non è vero»; altro è dire: «è vero, ma è difficile».
 
3. Esiste anche un altro insegnamento della Chiesa, che si inscrive in una visione molto profonda e in una stima molto grande dell'amore coniugale e che, tuttavia, oggi è molto contestata. Si tratta del problema di ciò che oggi è chiamata «procreazione artificiale». Ogni giorno, quasi, leggiamo sui giornali notizie di interventi sempre più invasivi nel processo del concepimento della persona: il concepimento in provetta, la maternità in età ormai avanzata e così via. Riflettiamo con serenità, con profondità su tutto questo.
E ripartiamo precisamente dall'insegnamento del Concilio Vaticano II che ha dato inizio alla nostra Catechesi di oggi: «i figli sono il preziosissimo dono del matrimonio» cosa significa? significa che non solo non si deve separare, mediante la contraccezione, l'amore coniugale dalla procreazione, ma anche che non si deve separare la procreazione dall'amore coniugale. Esiste una sola culla degna di concepire una nuova persona umana: l'atto dell'amore coniugale. Perché? Sono molte le ragioni. Riflettiamo su alcune.
Sostituire l'espressione dell'amore coniugale, come atto che sta all'origine del concepimento di una persona, con un'attività di carattere tecnico, un'attività di laboratorio equivale ad una sorta di «produzione» della persona. Ora si producono le cose, non le persone. Si possono fare le protesi di tutto: dei denti, dei reni, del cuore. Non si può fare la protesi dell'amore coniugale. Che cosa significhi introdurre la logica della produzione tecnica in un evento che deve essere dominato solo dalla logica dell'amore, possiamo vederlo da molti punti di vista.
Solitamente chi produce, si sente poi in diritto di dare un giudizio sulla riuscita del prodotto. Ed infatti, se l'embrione ottenuto in laboratorio non è giudicato sano, viene buttato. Ecco, vedete? è la logica della produzione che è entrata nei rapporti delle persone, prendendo il posto della logica dell'amore.
Spesso nella «produzione della persona», poiché è di questo che si tratta, intervengono varie sostituzioni. Non è sempre la stessa donna che biologicamente ha concepito, ha portato in grembo la nuova creatura, è divenuta madre legale: ciascuna può prendere il posto dell'altra. Come è possibile pensare tutto questo? Solo se si pensa che concepire, portare in grembo, sia una funzione puramente biologica, senza che necessariamente vi sia profondamente coinvolta la persona della donna, nella sua irripetibile unicità.
La logica della «produzione della persona» è una distruzione della dignità della persona, perché implica la negazione che ogni e singola persona sia di una irripetibile preziosità. La conferma di ciò che sto dicendo è data da un fatto di cui a volte hanno parlato i giornali. Donne che hanno accettato di portare in grembo una creatura, per conto di un'altra donna, al momento della nascita non hanno più voluto darla. Ecco, vedete? l'intima verità della persona della donna si ribella.
Ma qualcuno potrebbe dire: «ma avere un bambino è un diritto degli sposi» oppure «ma avere un bambino è per me necessario, per la mia felicità». Dobbiamo fare al riguardo due osservazioni.
La prima. Non si ha mai diritto ad una persona; si può avere diritto ad una cosa. Essere qualcuno è infinitamente più che essere qualcosa: i miei diritti sono sempre diritti a qualcosa, non a qualcuno. Il figlio è affidato ai genitori come qualcuno, non come qualcosa.
La seconda. Non si può impostare il rapporto alla maternità e paternità nei termini di ciò di cui ho bisogno per la propria felicità o realizzazione. Nessuna persona è al servizio della felicità di un'altra; ciascuna persona ha una dignità infinita in se stessa e per se stessa. La persona non può mai essere considerata un mezzo per raggiungere uno scopo: mai, soprattutto, un mezzo per la propria realizzazione. Essa è e dev'essere solo il fine di ogni atto. Soltanto allora l'azione corrisponde alla verità della persona.
Come vedete, anche in questo insegnamento della Chiesa si manifesta semplicemente la grandezza e la bellezza dell'amore coniugale, del dono della vita. In una parola: della persona umana.
Non posso però terminare questa riflessione senza rivolgermi in modo particolare agli sposi che vivono la sofferenza della sterilità.
Il dono reciproco degli sposi non ha come fine solo il concepimento di una persona, ma è in se stesso mutua comunione di vita e di amore. L'amore non ha bisogno di essere giustificato: vale in sé e per sé. È a se stesso ragione di essere e premio. Dunque questi sposi non devono credere che il loro amore coniugale sia meno amore e meno coniugale a causa della sterilità.
Resta, però, una sofferenza nel loro cuore, spesso anche molto profonda. Che fare, allora?
In primo luogo, pregare perché il Signore stesso intervenga. Non dimentichiamo che molte figure, che sono centrali nella storia della salvezza, come Isacco, Samuele e Giovanni Battista, sono figli di donne sterili. Il Signore non ha perduto né la potenza di fare miracoli, né il desiderio di farli per la felicità dei suoi figli. Personalmente conosco due coppie di sposi divenuti genitori in modo che a tutt'oggi la scienza non può spiegare. I miracoli accadono anche oggi, se abbiamo fede.
Ma può essere che il Signore, nella sua misteriosa bontà, non intenda intervenire in questo modo. In questo caso, i due sposi devono chiedersi, e pregare, se il Signore non chieda loro di diventare papà e mamma di bambini abbandonati, sofferenti e privi di ogni affetto paterno e materno. Se non chieda loro, cioè, di ricorrere all'adozione.
 
CONCLUSIONE
Non c'è conclusione migliore alla nostra catechesi di quanto scrive il S. Padre (n.11, pag. 32).
Il fatto poi che sta nascendo un uomo, che «è venuto al mondo un uomo» (Gv. 16,21), costituisce un segno pasquale. Ne parla Gesù stesso ai discepoli, come riferisce l'evangelista Giovanni, prima della passione e morte, paragonando la tristezza per la sua dipartita alla sofferenza di una donna partoriente: «La donna, quando partorisce, è afflitta (cioè, soffre), perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv. 16,21). La «ora» della morte di Cristo (cfr. Gv. 13,1) è qui paragonata alla «ora» della donna in travaglio; la nascita di un nuovo uomo trova il suo pieno riscontro nella vittoria della vita sulla morte operata dalla risurrezione del Signore. Questo raffronto si presta a diverse riflessioni. Come la risurrezione di Cristo è la manifestazione della Vita oltre la soglia della morte, così anche la nascita di un bambino è manifestazione della vita, sempre destinata, per mezzo di Cristo, alla «pienezza della vita» che è in Dio stesso»: «Io sono venuto perché abbiamo la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv. 10,10). Ecco svelato nel suo valore più profondo il vero significato dell'espressione di Sant'Ireneo: «Gloria Dei vivens homo».
Come è stato annunciato all'uomo che la salvezza era accaduta? «... troverete un bambino». È il grande evento che ci riempie di stupore: Dio non ha chiuso le sue viscere di misericordia, perché continua la celebrazione del suo amore creatore.

LA SACRAMENTALITÀ DEL MATRIMONIO
 
 
La nostra catechesi oggi affronta l'aspetto più bello e più grande del matrimonio cristiano.
Tutti sappiamo dal catechismo che il matrimonio è un sacramento. Che cosa significa questa affermazione? che cosa vuol dire: «è un sacramento»? Possiamo dare ordine alla nostra riflessione, dividendola in tre parti. Dapprima cercheremo di spiegare che cosa è un sacramento in generale; poi vedremo che cosa è il sacramento del matrimonio ed infine rifletteremo su alcune conseguenze di questo insegnamento della Chiesa.
 
1. Per capire un poco che cosa è un sacramento, possiamo partire da una esperienza molto comune che tutti abbiamo vissuto. Ci sono, nella nostra vita, degli avvenimenti, così come nella vita dei popoli, che sono così importanti che, a regolari intervalli di tempo, sentiamo il bisogno di ricordarli. Gli sposi celebrano, o comunque ricordano il giorno del loro matrimonio: si chiamano nozze d'argento, d'oro, di diamanti. La nostra patria, come tutte le altre nazioni, ricorda i fatti fondamentali della sua storia nelle feste civili. È questa un'esperienza molto importante e molto bella: fare memoria di un avvenimento, per conservarne sempre vivo il ricordo. Ovviamente non facciamo memoria di tutto quello che ci capita. Ci sono avvenimenti del tutto insignificanti e ci sono avvenimenti così importanti che hanno cambiato la nostra esistenza. Conosco degli sposi che ricordano esattamente luogo e tempo in cui si sono incontrati per la prima volta e perfino come erano vestiti in quel momento.
Teniamo, dunque, ben presente questa nostra esperienza e facciamoci ora una domanda: esiste un avvenimento assolutamente unico nella vicenda della nostra salvezza cristiana? un avvenimento centrale? Sì, esiste: questo avvenimento unico, centrale, fondamentale è la morte e la risurrezione di Gesù! Se voi prendete una sfera e la poggiate su un tavolo, qualunque sia la grandezza della sfera, essa tocca il tavolo solo in un punto: poggia tutta su un solo punto. Qualcosa di analogo avviene nella storia dell'umanità. Tutta la storia dell'umanità, dal primo uomo all'ultimo poggia su un solo momento del tempo: il momento della morte e risurrezione del Signore. Cercheremo ora di balbettare qualcosa su questa centralità dell'evento pasquale del Signore. D'ora in poi, useremo questo termine «evento pasquale» per dire morte e risurrezione del Signore.
Dunque, che cosa significa che l'evento pasquale è l'avvenimento centrale e fondamentale di tutta la storia umana? Semplificando un po', possiamo dire che significa due cose.
Primo. Ciò che è accaduto in Gesù è ciò a cui ciascuno di noi è destinato. Ciò che stiamo dicendo è qualcosa di molto grande, perché ci svela il senso ultimo della nostra vita. Che cosa è accaduto in Gesù durante il suo evento pasquale? Il Figlio di Dio si era incarnato assumendo non una qualsiasi condizione umana, ma la nostra condizione, per essere solidale — lui assolutamente innocente — con l'uomo peccatore. Egli diviene pienamente partecipe della nostra stirpe peccatrice. Ma questa misteriosa, incredibile condivisione aveva uno scopo ben preciso: liberare ogni uomo dal peccato, cambiare radicalmente la nostra condizione peccatrice, reintrodurci nella giustizia e nella santità, nell'Alleanza col Padre. Come realizza questa trasformazione nella sua propria umanità? Egli muore in essa; questa condizione di peccato, «la carne di peccato» dice S. Paolo, è distrutta definitivamente perché non trattenesse più Cristo fuori della vera vita. Nell'immolazione del Calvario la nostra carne di peccato muore e in essa muore il peccato ed avviene il passaggio alla condizione gloriosa, cioè la risurrezione. Dobbiamo al riguardo non cadere in un equivoco. I Vangeli ci narrano il miracolo di tre risurrezioni: di Lazzaro, del figlio della vedova di Naim e della figlia di Giairo. Ma queste risurrezioni sono essenzialmente diverse dalla risurrezione di Gesù. Lazzaro è ritornato alla vita di prima e poi è risorto. Non era una vita nuova, gloriosa, immortale. Nella e con la sua risurrezione, Gesù fa passare la nostra umanità dalla condizione di peccato alla condizione di vita nuova, di santità, di eternità. S. Paolo scrive: «Cristo morì una volta per sempre; ora vive e vive per Dio» (Rom. 6, 10). Ecco, dunque, che cosa è accaduto nel Cristo: il passaggio, che si compie nella sua morte, dalla condizione propria alla stirpe peccatrice alla condizione della Gloria del Figlio primogenito di molti fratelli. Ora ciascuno di noi è precisamente predestinato da tutta l'eternità a realizzare in sé questo passaggio, il nostro destino, il nostro buon destino è di rivivere in Cristo questo «passaggio» e così diventare figli del Padre nella santità, nella gloria, nella vita eterna.
Dunque, ci eravamo chiesti: che cosa significa che l'evento pasquale è l'avvenimento centrale e fondamentale di tutta la storia umana? Significa prima di tutto questo: ognuno di noi è destinato a passare «da questo mondo al Padre in Gesù e per mezzo di Gesù e con Gesù morto e risorto.
Secondo. Ma vuol dire anche un'altra cosa, di conseguenza. Ognuno di noi, se vuole salvarsi dalla morte e dal peccato, deve in un certo senso «entrare in contatto reale» con la morte e risurrezione del Signore. Notate bene: ho detto «reale». Vuol dire proprio fisico. Ricordate la donna che soffriva di emorragie, di cui parla il Vangelo? Ella pensava: io, se voglio guarire, lo devo in qualche modo toccare! Non è sufficiente leggere, meditare la Sacra Scrittura che racconta la Pasqua del Signore. È necessario, appunto, che noi siamo fisicamente, realmente inseriti nella morte e risurrezione del Signore.
Ma, a questo punto, tutti ci domandiamo: ma come è possibile avere un contatto reale? è semplicemente impensabile: la morte e risurrezione del Signore sono accadute duemila anni orsono. Come è possibile, come è pensabile avere un contatto con ciò che è accaduto nel passato? Ciò che è impossibile all'uomo, è possibile a Dio: ciò che è impensabile per la ragione umana, non lo è per la Sapienza divina. I Sacramenti sono l'incredibile invenzione della potenza, della sapienza, dell'amore di Dio per rendere possibile a ciascuno di noi di «toccare realmente» il Cristo che muore e risorge e così essere trasformati come Lui, in Lui e per mezzo di Lui.
Allora che cosa sono i sacramenti? sono gli strumenti datici da Dio per inserirci nell'Evento pasquale del Signore così da essere realmente toccati, coinvolti e resi partecipi. In una parola: perdonati e santificati.
Vorrei concludere questo primo punto della catechesi con alcune precisazioni semplici, ma molto importanti.
I sacramenti non moltiplicano l'evento pasquale del Signore: esso rimane assolutamente unico; propriamente non lo rinnovano, poiché esso è sempre attuale e non invecchia mai; essi non si limitano a ricordarlo, poiché l'Evento pasquale è realmente presente nei sacramenti nel modo proprio a ciascuno. In sintesi: i sacramenti sono la presenza reale nella memoria della Chiesa della morte e risurrezione del Signore. È la presenza dell'amore di Cristo che ci salva, perché si costituisca la Chiesa.
Vedete, infine, come i Sacramenti sono il tesoro più grande che la Chiesa possiede: da essi dipende la sua esistenza stessa. La Chiesa può far senza di tutto, può essere spogliata di tutto. Ciò che le è assolutamente necessario sono i sacramenti poiché ciò che le è assolutamente necessaria è la presenza del Suo Sposo.
 
2. Dobbiamo adesso parlare in particolare di uno dei sette sacramenti, del sacramento del matrimonio. Ovviamente dobbiamo tener presente quanto abbiamo detto prima. Dunque la domanda fondamentale a cui cercheremo di rispondere, è la seguente: che cosa significa «il matrimonio è un sacramento»?
Precisiamo subito che quando ora parlerò di matrimonio-sacramento, sto parlando del matrimonio di cui ho parlato nelle catechesi precedenti. Cioè il matrimonio-sacramento è il matrimonio che ogni battezzato vive quotidianamente, nelle sue gioie e nei suoi dolori, nelle sue speranze e nelle sue preoccupazioni. È questo concreto matrimonio, questa quotidiana vicenda coniugale è il sacramento. Ma precisamente, che cosa significa: «è un sacramento»?
Se vi ricordate, nel punto precedente di questa catechesi, vi ho detto: i sacramenti sono gli strumenti (diciamo così) datici da Dio per inserirci nell'Evento pasquale del Signore così da esserne realmente toccati, coinvolti e resi partecipi. Dunque: il perché essi possano inserire la loro vita coniugale nella morte e risurrezione del Signore, così che la loro vita coniugale medesima ne è realmente toccata, coinvolta e resa partecipe. La morte e la risurrezione è realmente presente nella vita coniugale dei due battezzati. In che cosa consiste questa presenza? che cosa è concretamente e quindi concretamente come i due sposi sono realmente inseriti nella morte e risurrezione del Signore?
Per rispondere, devo fare prima una parentesi nella quale cercherò di spiegare il più facilmente possibile un concetto non facile, il concetto di partecipazione. Partiamo, come sempre, da un'esperienza molto semplice. Non vi è mai capitato di dire: «Questa persona e più bella, più buona di quella?». Certamente. Ora riflettiamo un momento su come è possibile che noi facciamo un tale confronto. È chiaro che noi possiamo dire meno (bella, buona), più (bella, buona), perché abbiamo la percezione di una bellezza, di una bontà diciamo ideale, in base alla quale noi diciamo più... o meno... a seconda che si avvicina più o meno a quell'ideale. Altrimenti come potremmo fare una gradazione? Ma nello stesso tempo, le due persone comunicano nella stessa perfezione, la bellezza/la bontà, anche se in misura più o meno intensa. Noi parliamo, in questo caso, di partecipazione di due o più persone alla stessa perfezione. Allora che cosa è la partecipazione? Essa è un legame che unisce due o più persone fondato nel possesso della stessa perfezione spirituale, in rapporto ad un modello ideale in cui questa perfezione è piena.
Ritorniamo ora alla nostra riflessione sul matrimonio. La morte e risurrezione manifesta una perfezione di Cristo, al grado sommo. Vi ricordate come l'Evangelista S. Giovanni introduce il suo racconto della Passione: «... avendo amato i suoi... li amò fino all'estremo». Ecco: si ha qui la rivelazione perfetta dell'amore di Cristo. Un amore del quale non se ne può pensare uno più grande: è l'amore infinito, oltre il quale non si può andare. Ora Cristo rende partecipi gli sposi di questo suo amore. L'amore coniugale con cui i due sposi si amano è lo stesso amore con cui Cristo ha donato se stesso sulla Croce, sia pure in un grado limitato. Lo stesso amore, di grado diverso. Vi ricordate? ci eravamo chiesti: «in che cosa consiste la presenza della morte-risurrezione del Signore nella vita coniugale dei due sposi?» Ora possiamo rispondere: consiste nel fatto che il Signore rende gli sposi partecipi della sua stessa capacità di amare, del suo stesso amore. Ci eravamo chiesti: «concretamente come i due sposi sono realmente inseriti nella morte-risurrezione del Signore?» Ora possiamo rispondere: sono inseriti, in quanto l'amore stesso con cui il Signore ha amato quando ha donato se stesso sulla croce, è effuso nel cuore dei due sposi. Dicevamo: sacramenti sono la presenza reale nella memoria della Chiesa della morte e risurrezione del Signore. In che senso questo è vero del matrimonio? in quanto nell'amore coniugale è presente l'amore stesso di Cristo che dona se stesso sulla Croce. Ora comprendete perché S. Paolo chiama il matrimonio un «grande mistero»? perché la Chiesa si prende tanta cura di esso?
Prima di procedere però, dobbiamo liberare subito la nostra mente da un possibile equivoco che potrebbe rovinare tutto. Non si deve interpretare tutto quello che ho detto nel modo seguente.
Cristo è il modello ed io, sposo/sposa, devo imitarlo. No, non è di questo che stiamo parlando. Il sacramento del matrimonio non è in primo luogo uno sforzo dell'uomo: è un dono del Signore. Non sei tu che ti devi sforzare di copiare un modello: non ne sei capace. È il Signore che ti fa dono della sua capacità di amare. Tu puoi solo accettare o rifiutare il dono. Dunque, non pensiamo in questo modo. Proseguiamo ora la nostra riflessione.
Il Signore, col suo Spirito, rende il cuore degli sposi capaci di amare come Egli ama. Ma il Signore non trova il cuore degli sposi allo stato puro. È un cuore in cui abita il peccato. O meglio: in cui abita l'incapacità di amare. Ora il primo miracolo che il Signore compie è di guarire il cuore degli sposi. La Chiesa chiama questa malattia presente nel cuore degli sposi concupiscenza. Non pensate subito alla sessualità. Non è di essa che stiamo parlando in primo luogo. È qualcosa di più profondo È l'incapacità di vedere la persona dell'altro nella sua pura dignità; è il tentativo continuo di dominarla, di farne uso per se stesso; è l'impossibilità di vedere nel corpo la bellezza e la preziosità della persona che merita stupore e venerazione, nel tentativo di staccare il corpo dalla persona, per farne oggetto di godimento. È il crollo della coscienza della persona del bene, del bello, del vero. Tutto questo è la concupiscenza. Ebbene, la prima cosa che avviene col sacramento del matrimonio è la guarigione da questa terribile malattia. La prima grazia del sacramento del matrimonio ha un carattere medicinale. È la medicina che può guarirci da questa terribile malattia della concupiscenza.
Ma l'aspetto più importante è quello di cui ho parlato e che potremmo chiamare elevante: l'amore umano che viene elevato, reso partecipe dell'amore di Cristo.
Terminiamo questo punto, chiedendoci: quando la sacramentalità del matrimonio raggiunge la sua perfezione? Ormai non dovrebbe essere difficile rispondere. Poiché il sacramento del matrimonio, come abbiamo detto varie volte, è lo stesso amore coniugale in quanto partecipa lo stesso amore di Cristo; poiché la più alta manifestazione dell'amore coniugale è quando gli sposi diventano «una sola carne» nel dono totale reciproco, allora la perfezione anche del sacramento la si ha precisamente nell'atto della perfetta unione spirituale e fisica degli sposi. Vedete quanto è grande la dignità del matrimonio!
 
3. In questo ultimo punto della nostra catechesi rifletteremo su alcune conseguenze di quanto abbiamo detto finora.
Provate ora a pensare come tutte quelle proprietà o caratteristiche dell'amore coniugale di cui ho parlato nelle catechesi precedenti ricevano una nuova luce. Chi può dire la fedeltà indissolubile dell'amore del Signore? Egli non ci ama perché ed in quanto a condizione che noi lo amiamo. Egli ci ama con una fedeltà assoluta. Allora come deve essere la fedeltà degli sposi? Chi può descrivere tutta la forza del perdono presente nel cuore di Cristo? fino a quante volte Egli è disposto a perdonare? sempre. Allora come deve essere la capacità di perdono reciproco nel cuore degli sposi? anche di fronte alle più gravi infedeltà!
Ma ora vorrei richiamare la vostra attenzione su un'altra conseguenza. Molti sentendo parlare della grandezza del matrimonio cristiano possono concludere che da una parte, allora, per vivere il sacramento del matrimonio bisogna essere santi e, dall'altra, non si vedono in questa condizione. Il punto è importante. Sì, è vero: la vocazione degli sposi è la vocazione alla santità. Niente di meno: alla santità. Tuttavia, in che cosa consiste la santità degli sposi? Semplicemente nell'essere fino in fondo, interamente sposi. Non devono cercare la santità fuori del matrimonio. Ma è importante, a questo punto, non dimenticare che questo cammino di santità è sostenuto precisamente dal sacramento del matrimonio, cioè dalla presenza dell'amore di Cristo che guarisce ed eleva. Agli sposi è chiesto solamente di non fare resistenza, di lasciarsi trasportare dal Signore.
Questo ci porta a prendere in esame un'altra conseguenza.
Dicevamo che i sacramenti sono la presenza reale della morte e risurrezione del Signore nella memoria della Chiesa. Questo è vero in grado eminente dell'Eucarestia. Pertanto, il sacramento in senso pieno, totale, perfetto è l'Eucarestia; gli altri sei lo sono in rapporto ad essa. È attraverso di essa che ci è dato di «toccare fisicamente» la persona del Signore che si dona nel sacrificio. Allora, è l'Eucarestia che rende possibile nel mondo l'impossibile: l'amore gratuito, puro, assoluto, senza limiti. Oh come aveva ragione Padre Pio quando diceva: «è più facile che la terra stia senza il sole, che non il mondo senza Eucarestia». Allora, quale è la conseguenza? se la vocazione degli sposi è rivivere lo stesso amore di Cristo che dona se stesso, dove possono accostarsi a questo amore, se non attraverso l'Eucarestia? Non è possibile vivere il sacramento del matrimonio se non si partecipa all'Eucarestia.
 
CONCLUSIONE
Vorrei concludere con un piccolo racconto. Un contadino aveva vissuto tutta la sua vita in una grande miseria. Un giorno arrivò la fortuna: ereditò un ingente patrimonio. Per prima cosa, parte per la città dove passa l'intera giornata. Aveva comperato un bellissimo vestito e scarpe di gran lusso. Alla sera, stanco si addormenta sul marciapiede. Un'automobile quasi lo investiva. L'autista scende infuriato e grida: «almeno togli le gambe dalla strada». Il contadino, svegliato in quel modo, si guardò le gambe e disse calmo: «passa pure, queste non possono essere le mie gambe: sono vestite troppo bene».
Ascoltando quanto abbiamo detto durante questa catechesi qualcuno potrebbe pensare: «non sta parlando di me, del mio matrimonio; il mio è molto più povero, molto meno grande».
E come quel contadino permetterà che si continui a parlarne male, perché tanto il matrimonio-sacramento di cui parla la Chiesa non può essere il proprio matrimonio: è troppo bello.
La tentazione più sottile in cui possiamo cadere è di pensare che il Signore non ci abbia amati fino in fondo, non abbia preparato per noi — come dice il Profeta — un banchetto di tante vivande e vini prelibati, ma solo un tozzo di pane duro ed un po' d'acqua. No: il Signore ha donato agli sposi la partecipazione al suo stesso amore.

LA VOCAZIONE CONIUGALE
 
 
Oggi dobbiamo riflettere su una dimensione profonda della vita coniugale. Prima però di cominciare dobbiamo fare un piccolo sforzo di memoria nel ricordare ciò che abbiamo detto nelle catechesi precedenti. A chi si fosse messo all'ascolto per la prima volta, servirà come un breve riassunto della dottrina cristiana del Matrimonio.
Il centro dell'insegnamento cristiano sul matrimonio è che «il matrimonio è un sacramento». Che cosa significa? significa che l'uomo e la donna che si sposano, sono resi capaci di amarsi come Gesù stesso ha amato, donandosi sulla Croce. Nel loro amore è presente l'amore stesso di Cristo che dona Se stesso. È questa presenza la forza intima degli sposi, che li tiene uniti nonostante tutto, che li fa capaci di superare le difficoltà della vita coniugale, che dà al coniuge ingiustamente abbandonato la forza di rimanere sempre fedele a chi l'ha tradito.
Dunque, teniamo ben presente nella nostra mente questo insegnamento della Chiesa, perché la nostra catechesi oggi si basa tutta su di essa.
 
1. LA VOCAZIONE
Cominciamo da una grande idea cristiana: l'idea di vocazione. Vi prego: non pensate subito, sentendo pronunciare questa parola (vocazione), ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose. Essi hanno ricevuto, si pensa, la «vocazione». Il punto che ora dobbiamo capire è il seguente: ogni battezzato ha ricevuto un vocazione. Vocazione significa «chiamata»: ogni cristiano è un chiamato. Sentite come si esprime S. Paolo: «noi dobbiamo render grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti... chiamandovi» (2 Ts. 2, 13-14).
In ogni chiamata o vocazione c'è uno che chiama, uno che è chiamato e c'è una ragione per cui è chiamato. Chi ci chiama? È Dio stesso, nel suo amore diretto e personale. Ciascuno di noi è stato pensato e voluto da Dio stesso. Noi ci siamo, perché Egli ha pensato a ciascuno di noi, ci ha voluti. Per che cosa ci chiama? Dio non fa niente per caso. Egli ha nel suo cuore un progetto su ciascuno di noi. Possiamo spiegare questa grande idea cristiana con un esempio al quale ricorrono normalmente i Padri e i Dottori della Chiesa. Chi vuole costruire un edificio, prima di tutto fa un progetto. Fatto il progetto, si inizia la costruzione. E la costruzione non è altro che la realizzazione del progetto. Il Signore ha disegnato un progetto per, anzi di ciascuno di noi. Egli inizia poi la costruzione della nostra vita quando ci crea e la continua durante tutta la nostra esistenza, fino al termine, nel momento della nostra morte. «Dio mi ha creato perché io compia per Lui un determinato servizio. Egli mi ha assegnato un compito che non ha assegnato a nessun altro. Io ho la mia missione (posso non conoscerla mai in questa vita, ma mi sarà svelata nella vita futura..) dunque io devo confidare in Lui, in qualsiasi momento, in qualsiasi posto io sia. Non posso mai tirarmi indietro. Se sono ammalato, la mia malattia può servire a Lui; se sono nella perplessità, la mia perplessità può servire a Lui; se soffro, la mia sofferenza può servire a Lui» (J. H. Newman). Nessuno di noi, in nessun momento della propria vita, è inutile, vive un'esistenza senza senso: ciascuno di noi ha un compito assegnatogli dal Signore.
È questa la vocazione. Ma ora dobbiamo fare una considerazione più profonda. Ogni battezzato, dunque, ha ricevuto la sua propria vocazione, il suo proprio compito: «a ciascuno è stato dato il proprio dono». Tuttavia, nella Chiesa esistono delle vocazioni che sono di una particolare importanza per la Chiesa. Esse cioè contribuiscono in un modo speciale alla costruzione della comunità cristiana. Se vogliamo continuare ad usare l'immagine della casa, possiamo spiegarci nel modo seguente.
Certamente ogni mattone è necessario, è importante, poiché la casa è fatta di tutti e singoli i mattoni. Tuttavia, è facile vedere che per esempio la funzione delle fondamenta è del tutto unica in una casa. Esse sono insostituibili; senza di esse la casa non starebbe in piedi, non esisterebbe. Avviene così, in un certo senso, anche nella casa di Dio che è la Chiesa. Esistono in essa dei battezzati che hanno ricevuto dal Signore un compito, una vocazione del tutto singolare perché la Chiesa sia edificata.
Voi chiederete: come si fa a riconoscere questi compiti speciali? e quindi sapere quali battezzati vi sono chiamati? Non è così difficile, come può sembrare. Questi battezzati sono investiti di questo compito da e per mezzo di un sacramento (o comunque mediante un atto pubblico). Il sacramento li abilita, li consacra a questo compito: esso è il segno efficace della chiamata di Dio a questa missione speciale.
È il segno: con questo gesto visibile, la Chiesa, tutti noi che siamo la Chiesa, sappiamo che Dio ha deputato questi battezzati a quel compito. È un segno efficace: è precisamente nel momento in cui il sacramento viene celebrato, che Dio, precisamente mediante il sacramento, chiama i battezzati a quel compito. Dopo, tutta la Chiesa deve riconoscere che essi hanno questa responsabilità, pubblicamente. Ecco: essi sono entrati in una particolare stato di vita che comporta anche dei diritti dentro la Chiesa.
Vedete: che cosa stupenda è la Chiesa! Essa è veramente il Corpo di Cristo e perciò Cristo produce in essa questi doni o missioni dal cui esercizio fedele dipende il bene di tutti.
 
2. LO STATO CONIUGALE
Vorrei cominciare questo secondo punto della nostra catechesi, citando una pagina del più grande teologo della Chiesa, S. Tommaso D'Aquino: «Vi sono alcuni che generano e conservano la vita spirituale (dei fedeli) mediante un compito (ministero) solamente spirituale: questo compete a chi ha ricevuto il sacramento dell'ordine. Vi sono alcuni che generano e conservano la vita spirituale mediante un compito fisico e spirituale. Questo compete a chi ha ricevuto il sacramento del matrimonio, mediante il quale l'uomo e la donna si uniscono per generare i figli ed educarli al culto di Dio» (Contra Gentes IV, 58, 3974). Il testo è stupendo ed ogni sposo dovrebbe non dimenticarlo più. Cercherò ora di commentarlo brevemente.
Esistono nella Chiesa due sacramenti che sono molto simili fra loro: il sacramento dell'Ordine ed il sacramento del Matrimonio. Essi, infatti, consacrano coloro che li ricevono ad una vocazione, ad una missione, ad un compito nella Chiesa e per la Chiesa. Quale compito, missione? Il dono della vita: questa è la meravigliosa missione sia del sacerdote sia degli sposi. La differenza è la seguente: il sacerdote dona la vita solamente spirituale; gli sposi sia la vita fisica sia la vita spirituale. Esiste così una vocazione sacerdotale ed una vocazione coniugale; esiste una missione sacerdotale ed una missione coniugale; esiste uno stato sacerdotale nella Chiesa ed uno stato coniugale. La Chiesa si costruisce sulla base di questi due sacramenti e di queste due missioni. Così il grande teologo S. Tommaso.
Adesso lasciamo il confronto fra le due vocazioni e parliamo solo dello stato coniugale e della sua missione o compito nella Chiesa.
In primo luogo, vediamo in una nuova luce il sacramento del matrimonio. Esso consacra (in un certo senso) i due sposi ad un compito soprannaturale, così che vengono ad occupare una posizione particolare e permanente nella Chiesa. E poiché il Signore non fa nulla solo a metà, Egli — che è eternamente fedele — nel momento in cui consacra i due sposi al loro compito, dona loro tutta la luce e tutta la forza di cui hanno bisogno per compiere santamente la loro missione. Anzi, il sacramento ricevuto diventa come una sorta di «titolo» che richiama continuamente nel cuore degli sposi la grazia del Signore. È una consacrazione degna di profondo rispetto, di profonda venerazione perché con essa gli sposi entrano in un rapporto del tutto unico con Dio, come vedremo fra poco.
Ma ora è giunto il momento che ci domandiamo: quale è la missione a cui gli sposi sono come consacrati dal sacramento del matrimonio?
Per capirla, proviamo a fare una riflessione molto semplice. Noi iniziamo il Credo dicendo: «Credo in Dio Padre Onnipotente, Creatore...». Ora domandiamoci molto seriamente: «ed io, quando sono stato creato?». Non possiamo non rispondere: sono stato creato nello stesso momento in cui sono stato concepito. Ora prestiamo molta attenzione a questa risposta. Essa racchiude un mistero molto profondo. Dunque all'origine di ciascuno di noi sta sia un atto umano, quello dei nostri genitori, sia un atto divino, l'atto di Dio Creatore. Considerate la dolce condiscendenza del Signore. Egli non ha voluto avere cooperatori quando creò l'universo. Quando crea la creatura più preziosa, la persona umana, Egli chiede la cooperazione dell'uomo e della donna. Ecco la missione fondamentale a cui sono chiamati gli sposi: cooperare con l'amore di Dio Creatore nel dono della vita. Vi dicevo che il matrimonio è come una consacrazione che pone gli sposi in un rapporto del tutto unico con Dio. Quale rapporto? quello di essere deputati a divenire ministri dell'amore creatore di Dio, così come — ci ha insegnato S. Tommaso — i sacerdoti sono consacrati per essere ministri dell'amore redentore di Dio.
Bisogna però che approfondiamo meglio questo punto. La cooperazione con l'amore creatore di Dio non si limita, non può limitarsi al dono fisico della vita. Il Signore crea ogni persona predestinandola ad essere figlio in Cristo, ad essere figlio nel Figlio. È una storia meravigliosa che ha inizio col nostro battesimo e si conclude nella vita eterna. Una delle tappe fondamentali di questo cammino è costituito dall'educazione, l'educazione alla fede. S. Tommaso diceva: al culto del Signore.
Ora sappiamo bene come la Chiesa ha sempre insegnato, che l'educazione compete in modo originario ai genitori e che nessuno può sostituirli normalmente. Anzi la Chiesa non ha mai permesso che si battezzassero i bambini contro la volontà dei genitori. Ora possiamo vedere come sia profonda la cooperazione con l'amore creatore di Dio. Essa non si limita a generare fisicamente la nuova persona umana. Essa consiste anche nella generazione spirituale della nuova persona umana. La nuova persona umana non ha solo bisogno di un utero fisico per essere concepito. Ha bisogno anche di un utero spirituale nel quale essere educato profondamente.
Ma più precisamente in che cosa consiste questa «generazione spirituale» o educazione? Ascoltiamo quanto il S. Padre dice, al riguardo, nella Lettera inviata alle Famiglie: «In che cosa consiste l'educazione? Per rispondere a tale domanda vanno ricordate due verità fondamentali: la prima è che l'uomo è chiamato a vivere nella verità e nell'amore; la seconda è che ogni uomo si realizza attraverso il dono sincero di sé. Questo vale sia per chi educa, sia per chi viene educato. L'educazione consiste, pertanto, in un processo singolare nel quale la reciproca comunione delle persone è carica di grandi significati. L'educatore è una persona che «genera» in senso spirituale. In questa prospettiva, l'educazione può essere considerata un vero e proprio apostolato. È una comunicazione vitale, che non solo costruisce un rapporto profondo tra educatore ed educando, ma li fa partecipare entrambi alla verità e all'amore, traguardo finale a cui è chiamato ogni uomo da parte di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo».
La missione che gli sposi sono chiamati a svolgere nella Chiesa, in vista della quale sono come consacrati dal sacramento del matrimonio, consiste nel dono fisico e spirituale della vita: nella generazione fisica e spirituale di nuove persone umane. Possiamo ora considerare il loro rapporto con la Chiesa.
S. Paolo dice che nessuno vive per se stesso, ma sia che viviamo, viviamo per il Signore, sia che moriamo, moriamo per il Signore. Ciascuno di noi vive nella Chiesa. Come vivono gli sposi nella Chiesa, in forza della loro missione? Vi ho già detto che devono essere i genitori a presentare la nuova persona umana venuta all'esistenza alla Chiesa, perché sia battezzata. Considerate quale grande mistero sia questo! In questo modo, la Chiesa, la famiglia di Dio, si costituisce di generazione in generazione. Attraverso la loro richiesta, gli sposi introducono le nuove persone nell'ambito della salvezza, che sarà donata attraverso il battesimo.
Quando poi i genitori cristiani educano nella fede i loro figli, essi lo fanno, per così dire, in nome della Chiesa. Non trasmettono la loro fede, ma la fede della Chiesa: li educano a pregare colla preghiera della Chiesa; a vivere secondo i precetti del Signore, trasmessi nella e dalla Chiesa. In una parola: è la Chiesa che esplica la sua maternità attraverso i genitori cristiani. Ascoltiamo ancora quanto dice il S. Padre nella già citata Lettera: «Nell'ambito dell'educazione la Chiesa ha un ruolo specifico da svolgere. Alla luce della Tradizione e del Magistero conciliare, si può ben dire che non è soltanto questione di affidare alla Chiesa l'educazione religioso-morale della persona, ma di promuovere tutto il processo educativo della persona «insieme con» la Chiesa. La famiglia è chiamata a svolgere il suo compito educativo nella Chiesa, partecipando così alla vita e alla missione ecclesiale. La Chiesa desidera educare soprattutto attraverso la famiglia, a ciò abilitata dal sacramento del matrimonio, con la «grazia di stato» che ne consegue e lo specifico «carisma» che è proprio dell'intera comunità familiare».
Possiamo dire concluso questo secondo punto della nostra catechesi. Dunque, in sintesi: il sacramento del matrimonio consacra gli sposi ad una particolare missione nella Chiesa, generare fisicamente e spiritualmente i nuovi figli di Dio.
 
3. ALCUNE CONSEGUENZE
In questo ultimo punto della nostra catechesi vorrei riflettere su alcune conseguenze di quanto ho detto nel punto precedente e richiamare la vostra attenzione su particolari problemi.
Una prima conseguenza si impone subito: la preparazione al matrimonio. Si tratta di una vera e propria scelta di vocazione. È necessario prepararsi allo stato coniugale, alla sua missione. Sono molte le iniziative che in tutte le Chiese si fanno. Pensiamo, per esempio, ai corsi di preparazione al matrimonio. Tuttavia questi da soli non bastano. Ricordate quanto diceva S. Tommaso d'Aquino? egli paragonava le due vocazioni, quella sacerdotale e quella coniugale. Ora come voi sapete, la preparazione al sacerdozio è lunga. E quella al matrimonio? può ridursi a quattro o cinque incontri? è necessaria una profonda preparazione spirituale fatta di preghiera, di prolungata meditazione sulla grande dottrina cristiana del matrimonio.
E proprio nel contesto di questo discorso, possiamo vedere una seconda conseguenza di ciò che ho detto. Ora potete capire quanto grande sia la stima che la Chiesa ha della sessualità umana quando dichiara illeciti i rapporti sessuali prematrimoniali. Vorrei aiutarvi con un esempio. Dopo molti anni passati in Seminario, in preparazione al Sacerdozio, si sente un profondo desiderio di uscirne e di cominciare a celebrare l'Eucarestia, a predicare il Vangelo, insomma ad esercitare il ministero sacerdotale. Che cosa allora succede? forse che si comincia senz'altro a celebrare l'Eucarestia? Certamente no. Ed anche lo facesse, non sarebbe una vera Eucarestia: sarebbe una sorta di commedia. È necessario ricevere il Sacramento dell'Ordine che consacra ad essere ministri dell'amore redentore di Cristo.
Quando due giovani sono fidanzati, sentono il desiderio di unirsi anche fisicamente, per esprimersi anche così il loro amore. Notate: sto parlando di fidanzamento, di un rapporto profondo, fatto di rispetto e reciproca venerazione. Non sta parlando di un uso puramente animale (non si può qualificarlo diversamente) della propria sessualità. Dunque, quei due giovani desiderano avere un rapporto sessuale. Che cosa allora succede? forse che ne sono abilitati senza la consacrazione del sacramento del matrimonio? Assolutamente no. Ciò che infatti essi si donano, la loro persona, non appartiene a loro stessi: appartiene al Signore. È una realtà santa di cui l'uomo e la donna possono disporre solo in nome di Dio. Nella loro unione fisica, essi sono chiamati ad essere il segno dell'amore stesso di Cristo e divenire cooperatori dell'amore creatore del Padre. Ed è solo con il sacramento che essi possono celebrare in verità questa santa liturgia.
Penso ora ad una difficoltà che può sorgere. Se questa è la missione degli sposi, che ne è allora delle coppie sterili, che non possono donare fisicamente la vita? Esse non devono turbarsi per questo, né ritenere di essere sposi di secondo grado. Infatti, essi sono il sacramento dell'amore di Cristo che dona Se stesso, attraverso il loro amore coniugale. Cioè: il loro amore coniugale è una realtà di una preziosità unica, come abbiamo spiegato nella catechesi precedente a questa. Poi, questi sposi devono chiedersi davanti al Signore se Egli non vuole che diventino genitori di bambini che ne sono privi, mediante l'adozione. Se, poi, al contrario, non si sentono chiamati a questo, nella Chiesa ci sono tanti spazi aperti per la loro vocazione educativa: si pensi alla catechesi.
Abbiamo terminato. Ancora una volta di fronte alla bellezza dell'amore coniugale e dello stato matrimoniale dobbiamo lasciarci prendere da un profondo stupore e dalla lode del Signore che ha fatto così bene ogni cosa.
Sia il Signore stesso, col dono del suo Spirito, a manifestarci ancora una volta questa bellezza e verità, perché gli sposi non cedano alle lusinghe del «padre della menzogna» che ci spinge continuamente su strade che sembrano facili e piacevoli, ma che ci portano alla morte. Non distogliamo mai il nostro sguardo dalla luce della Parola di Dio.

LE VIRTÙ DEGLI SPOSI
 
 
Nelle due catechesi precedenti a questa abbiamo voluto guardare con occhi semplici quanto il Signore opera in ogni matrimonio, il dono che il Signore fa all'uomo e alla donna quando li chiama al matrimonio. Di fronte al dono, la prima reazione deve essere la gratitudine, la gioia. Ma ogni dono che il Signore fa all'uomo comporta anche una responsabilità nostra: ogni grazia diventa un compito per la nostra libertà. Il Signore dona agli sposi di partecipare al suo stesso amore: gli sposi possono, e quindi devono amarsi come il Signore ha amato. Il Signore dona agli sposi di divenire cooperatori del suo amore creatore nel dono della vita: gli sposi possono, e quindi devono donare generosamente la vita.
Ma per corrispondere al dono del Signore, sono necessarie negli sposi delle forze spirituali che li rendano capaci di compiere tutto ciò che la chiamata del Signore dona loro. Queste forze spirituali sono le virtù proprie degli sposi; le chiameremo le virtù coniugali. Quali sono? come si acquistano? Ecco: in questa catechesi cercherò di rispondere a queste domande.
 
1. L'AMORE CONIUGALE
La prima virtù è l'amore, l'amore coniugale: l'amore profondo che deve regnare fra gli sposi. Ho detto «regnare» di proposito. La vita coniugale, i rapporti di ogni genere fra gli sposi devono essere sempre governati, dominati dall'amore: non da altro. Ma qui entriamo subito in quella che forse è la nostra più grande tragedia: non sappiamo più che cosa significa amore, al punto che nel nostro linguaggio questa parola ormai significa tutto ed il contrario di tutto. È vero o non è vero, per fare solo un esempio della confusione in cui siamo caduti, che spesso si chiama «amore» anche l'adulterio? Abbiamo dunque bisogno di veder chiaro nella verità dell'amore: è il nostro bisogno più grande. Chi non sa che cosa è l'amore, non sa semplicemente che cosa è la vita.
Abbiamo due libri in cui possiamo giungere a questa conoscenza: la S. Scrittura ed il nostro cuore. In ambedue sta scritta la verità dell'amore e l'uno aiuta l'altro. Proviamo a leggerli brevemente, assieme.
Nella sua prima lettera, S. Giovanni scrive: «In questo sta l'amore, non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi» (1Gv. 4, 10). Perché nell'amore di Dio scopriamo la verità intera dell'amore? perché scopriamo la gratuità. Ecco, vorrei che rifletteste profondamente su questo concetto: è la porta d'ingresso nel mistero dell'amore. La gratuità è l'amore che si dona, semplicemente perché trova gioia nel donare. La gratuità è l'amore che si dona non in previsione di un beneficio che può venire dalla persona umana. Semplicemente dona perché vede che donarsi è bene, che donarsi è bello. La gratuità è l'essenza stessa, la definizione stessa dell'amore. Ora, la persona umana non è capace, di solito, di una gratuità assoluta. Essa non poteva sapere fino in fondo che cosa era l'amore, poiché solo Dio è capace di gratuità. Per questo che solo quando Egli in Gesù ha svelato il suo modo di amare, l'uomo ha potuto capire che cosa è l'amore: è il puro, gratuito dono.
Chiudiamo per il momento il libro della S. Scrittura ed apriamo l'altro libro, il nostro cuore: che cosa vi leggiamo? A prima vista, vi leggiamo tutto il contrario. Quando un uomo e una donna cominciano ad amarsi, non sentono una profonda attrazione reciproca? Ora questa reciproca attrazione nasce dal bisogno dell'altro: stare coll'altro, parlare con l'altro... Un bisogno che nasce dal desiderio della propria incompletezza, la quale trova compimento nell'altro. Sembra proprio un'esperienza esattamente contraria alla gratuità: cerco l'altro perché ne ho bisogno; voglio l'altro per la pienezza della mia esistenza.
Non possiamo certo negare tutto questo. Ma il nostro cuore, se lo ascoltiamo attentamente, ci dice anche qualcosa d'altro, più profondo. Esso ci avverte che l'altra persona è qualcuno, non qualcosa. Non può essere usato: può essere venerato nella sua preziosissima dignità. Ecco: può essere solo amato. È vero o non è vero che quando una donna si sente come usata, essa dice; ma questo non è più amore! Il nostro cuore porta inscritto in se stesso l'invocazione di un amore vero, di un amore puro, cioè gratuito, cioè che sia puro dono della propria persona all'altro. La lettura congiunta dei due libri, la S. Scrittura ed il nostro cuore, ci ha portato a questa scoperta: l'amore coniugale è il dono reciproco, ma esso può essere insidiato da una logica di possesso. Fermiamoci un poco a meditare su questa scoperta.
Da sempre, la particolare relazione che l'amore coniugale costituisce fra l'uomo e la donna si esprime nelle parole «mio... mia». Per esempio, nel più bel canto di amore che l'umanità possegga, il Cantico dei Cantici, questi pronomi ricorrono continuamente. Ebbene, essi possono voler dire due cose. Possono voler dire un rapporto di possesso: tu sei l'oggetto del mio possesso, ciò che mi appartiene. Dal possesso l'ulteriore passo va verso il godimento: l'oggetto che posseggo acquista per me un certo significato in quanto ne dispongo e me ne servo, lo uso. Possesso-uso-godimento: ecco il primo significato di «mio... mia». Ma ne esiste un altro. Quelle parole esprimono la reciprocità del dono, esprimono l'equilibrio del dono in cui precisamente si instaura la comunione personale: «Mio... mia» perché tu ti sei donato/a ed io mi sono donato. Non c'è nessuna appartenenza nel senso della proprietà o dominio: c'è solo l'essere l'uno dell'altro nel dono di sé.
Dunque: l'amore coniugale è il reciproco dono degli sposi. In questa reciproca autodonazione è contenuto il riconoscimento della dignità personale dell'altro e della sua irripetibile unicità: ciascuno di loro è stato voluto da Dio per se stesso. E ciascuno fa di sé dono all'altro, con atto consapevole e libero.
È facile ora capire come questo amore possa crescere e conservarsi solo a determinate condizioni. Quali sono? vorrei indicarvi le principali.
La prima e la più importante è l'umiltà: essa è veramente la sorella gemella dell'amore. Voi sapete che il quarto evangelista non racconta l'istituzione dell'Eucarestia nell'ultima cena: scrivendo dopo gli altri, egli sa che i cristiani la conoscono bene.
Al suo posto, egli inserisce una delle pagine più incredibili e sconvolgenti di tutta la S. Scrittura: Gesù lava i piedi ai suoi apostoli. La cosa è talmente assurda che Pietro, nel suo buon senso gli dice: «Tu non mi laverai mai i piedi, in eterno». Come a dire: «Ho accettato tutto e sono disposto ad accettare tutto. Tu sei stato nella mia casa, nella mia barca, tu mi hai scelto. Ma, lavare i piedi, è troppo». Proviamo ora a chiederci: questo gesto di Gesù è stato un atto di amore o di umiltà? impossibile rispondere. È stato un atto di supremo amore perché fu un atto di incredibile umiltà; è stato un atto della più profonda umiltà perché fu un atto di illimitato amore.
Provate ora, allo stesso modo, a ripercorrere con la vostra mente quanto abbiamo detto poc’anzi sull'amore coniugale. Vedrete che tutto può essere capito e riespresso in termini di umiltà.
Chi vuole possedere ed usare l'altro? colui che si ritiene superiore all'altro, nel suo orgoglio. Mentre il vero amore, il dono di sé all'altro, è il più grande atto di umiltà: tu sei così grande, così prezioso che meriti non meno che io ti doni me stesso/a. Ecco, vedete: l'amore coniugale è la più grande umiltà. Senza l'umiltà, l'amore muore.
«Non bisogna dare ascolto alla voce che grida dentro: perché devo essere sempre io a cedere, a umiliarmi? Cedere non è perdere, ma vincere; vincere il vero nemico dell'amore che è il nostro orgoglio». Quanti matrimoni sono falliti per mancanza di umiltà! essa avrebbe impedito che i piccoli muri di incomprensione e di risentimento divenissero vere barriere, ormai impossibili ad abbattersi.
La seconda condizione, perché l'amore coniugale si conservi e cresca è la misericordia, la capacità del perdono. Vorrei richiamare, in primo luogo, la vostra attenzione su una verità della nostra fede. Il Signore ha condizionato il suo perdono al perdono che noi concediamo al nostro prossimo. Forse non riflettiamo abbastanza su tutto questo. Egli poteva mettere molte altre condizioni: ne ha messa una sola. Egli arriva fino a dire che Egli userà con noi la stessa misura che noi useremo col nostro prossimo. Un monaco vissuto nel IV-V secolo racconta che molti cristiani del suo tempo erano talmente impauriti da questo pensiero che quando recitavano il Padre nostro, non recitavano le parole: ...come noi le rimettiamo ai nostri debitori. Noi stessi siamo responsabili del giudizio che un giorno verrà pronunciato su di noi.
Tutto questo è vero per ogni rapporto umano, ma vale in un modo davvero singolare fra gli sposi. Per quale ragione? per una ragione molto semplice: perché singolare è l'amore che regna fra loro. Come si può dire di amare una persona se non si è capace di perdonarla? Infatti, poiché si tratta di una persona umana, o prima o poi essa sbaglia. Sbagliare, infatti, è una proprietà della nostra natura umana. Ed allora che fare di fronte alla persona amata che sbaglia? Il vero amore non ha dubbi: perdonarla e dimenticare. Quanti matrimoni sono stati distrutti dalla mancanza del perdono! un perdono rifiutato persino quando era stato umilmente richiesto.
Vi sono altre condizioni per conservare ed accrescere l'amore coniugale. Il tempo ci costringe a limitarci a queste due: l'umiltà e la misericordia. Ora dobbiamo parlare di una fondamentale virtù coniugale: la castità.
 
2. LA CASTITÀ CONIUGALE
Per capire che cosa è la castità coniugale e misurarne l'importanza per la vita coniugale, dobbiamo prima fare alcune riflessioni generali.
Se appena ciascuno di noi fa attenzione alla propria vita quotidiana, non fa fatica ad accorgersi che la persona umana è una realtà molto complessa, che essa cioè è composta di molti elementi; appunto non è qualcosa di semplice, ma di composito. Ma siamo ancora più concreti. Prendiamo, per esempio, un capitolo molto importante della nostra vita: il capitolo dei nostri desideri, delle nostre aspirazioni. Quanti sono i nostri desideri, le nostre aspirazioni: possiamo desiderare di mangiare un buon cibo e possiamo desiderare di vivere una profonda esperienza di preghiera col Signore. Possiamo aspirare ad essere più ricchi di quello che siamo oppure aspirare ad essere umili discepoli del Signore in una totale povertà. E così via. A guardare però le cose in profondità, ci accorgiamo che, alla fine, tutti i nostri desideri, tutte le nostre aspirazioni si possono dividere in due grandi classi: ci sono desideri-aspirazioni di natura spirituale; ci sono desideri-aspirazioni di natura psico-fisica. Quando Teresa d'Avila, giunta alla fine della sua vita, ripeteva continuamente: «voglio vedere il Volto di Dio», esprimeva un desiderio, un'aspirazione spirituale. Quando, dopo una intensa giornata di lavoro, diciamo: «non vedo l'ora di andare a letto», esprimiamo un desiderio, un'aspirazione psico-fisica.
Dunque, teniamo bene in mente questo fatto: la nostra facoltà di desiderare, di aspirare ha due dimensioni, una dimensione spirituale ed una dimensione psico-fisica.
Troviamo queste due dimensioni anche nella nostra sessualità: anche la sessualità umana ha una dimensione spirituale e una dimensione psico-fisica. Che essa abbia una dimensione psico-fisica non è difficile da capire. Già dal punto di vista biologico, l'uomo e la donna sono fatti per unirsi. Ed esiste una naturale attrazione fra l'uomo e la donna. Che cosa significa naturale? significa che l'uomo e la donna, considerati a se stanti, sono incompleti e sentono il bisogno di trovare l'uno nell'altro quella pienezza di esistenza che nella loro solitudine non possono raggiungere. Ecco: questa è la dimensione psico-fisica della sessualità. Una dimensione che fa aspirare l'uomo e la donna all'unione anche fisica dei loro corpi.
Ma questa non è tutta la sessualità umana; la sessualità umana non si riduce a questo. Essa possiede anche una dimensione spirituale. L'uomo e la donna che vivono un rapporto profondo, non si incontrano solo a livello di emozioni psico-fisiche. Il loro è un incontro di carattere spirituale, cioè personale. Non è una comunione di corpi vissuta emotivamente, ma è una comunione di persone vissuta nella piena libertà del dono di sé. Del dono di sé, non solo del proprio corpo. Ma è vero che la sessualità umana ha in se stessa anche questa dimensione spirituale?
È una cosa troppo importante per non rispondere accuratamente a questa domanda. Ebbene, se vogliamo essere onesti con noi stessi, non possiamo negare l'esistenza di alcuni fatti che sarebbero inspiegabili se la sessualità umana non avesse anche una dimensione spirituale.
Il primo è costituito dal fatto mirabile del volto umano. Del corpo umano fa parte il volto. Lo sguardo che considera il valore dell'altra persona, non si concentra sui suoi valori sessuali, ma sul volto: il volto è l'espressione concentrata di tutta la persona. Quando si parla, infatti, della bellezza della persona amata si intende, in primo luogo, la bellezza del suo volto. È questa un'esperienza così profonda che anche nella nostra fede, noi, rivolgendoci al Signore, diciamo: «il tuo Volto io cerco, Signore» oppure «non distogliere da me il tuo Volto». Perché questa profonda concentrazione sul volto? perché si tratta di una comunione fra le persone.
E c'è poi un secondo fatto che dimostra come la sessualità umana abbia anche una dimensione spirituale: il pudore. Esso è un fatto esclusivamente umano: gli animali non hanno pudore. Perché? perché non hanno un'interiorità da difendere contro sguardi indiscreti, impudichi. Il pudore, infatti, è la difesa della propria persona in quanto essa si esprime attraverso la propria sessualità. La propria persona è come un tempio: c'è in essa la parte più santa, più interiore e c'è la parte esteriore. Si entra nella parte intima della persona attraverso il corpo, attraverso la sessualità. Il pudore interdice questo ingresso, consentendolo non a chiunque. Mentre il pudore intende condurre la considerazione del sesso nella totalità della persona, l'impudicizia tratta la persona, in un certo senso, come un'appendice della sua genitalità.
Dunque, teniamo ben presente questo punto: la sessualità umana possiede due dimensioni, una dimensione psico-fisica e una dimensione spirituale.
A questo momento sorge precisamente uno dei problemi più importanti per una santa e felice riuscita della vita coniugale. Vorrei introdurvi a questo problema con un esempio molto semplice. Prendiamo un'automobile. Essa consta di molti apparati diversi che devono essere collegati in un modo corretto fra loro. Se manca qualcuno di questi apparati oppure se ci sono tutti ma non sono correttamente collegati fra loro, l'automobile non è vera: cioè non si muove da sola. Anche la sessualità umana è composta di più elementi, di due precisamente: della dimensione psico-fisica e della dimensione spirituale. Ora, se nell'esercizio della sessualità manca uno di questi elementi oppure se essi non sono fra loro ben connessi ed integrati, la sessualità umana non è vera: non è veramente umana. Allora, quale è il problema più profondo che la sessualità pone alla persona? questo, precisamente: che essa sia integra (completa, cioè in tutta la sua ricchezza), che essa sia ordinata (che fra le due dimensioni ci sia una giusta correlazione). Che cosa realizza nel matrimonio una sessualità integra e ordinata? la virtù della castità. E siamo così finalmente arrivati, dopo un lungo cammino, a capire che cosa è la virtù della castità.
La virtù della castità è la forza che rende gli sposi capaci di vivere integralmente e ordinatamente la loro sessualità. La persona è casta quando è capace di vivere la propria sessualità in questo modo. In primo luogo, integralmente. Non è umano vivere la propria sessualità rinnegandone la dimensione spirituale, ciò che oggi frequentemente accade. La sessualità è il linguaggio della persona. Ma è ugualmente inumano vivere la propria sessualità rinnegandone la dimensione psico-fisica. Anche in questo contesto valgono le sagge parole che S. Teresa d'Avila diceva in un altro contesto: «Noi non siamo angeli, ma abbiamo un corpo: volerci comportare da angeli quando siamo ancora in terra... è una vera assurdità». Non è infrequente il caso di matrimoni che vanno in crisi oppure che si trascinano stancamente proprio perché è carente questa espressione, questo linguaggio dell'amore coniugale.
Ma la virtù della castità non assicura solamente un esercizio integrale della sessualità coniugale, ma anche un esercizio ordinato. Ed è la cosa più importante. Per capire in che cosa consiste questo ordine, possiamo fare un esempio. Una buona esecuzione di una musica al pianoforte esige molte cose. In primo luogo, come e ovvio, il pianista deve saper leggere correttamente lo spartito musicale. Ma, ovviamente, questo non è sufficiente. È necessario che le mani siano perfettamente educate ad eseguire quanto è scritto: è una educazione essenziale. Tuttavia, ancora non basta. Saper leggere correttamente la musica ed eseguirla in modo conforme a quanto è scritto, darebbe come risultato solo un'esecuzione meccanica: bisogna saper interpretare, partecipare l'ispirazione dell'autore del brano musicale. Vedete: in una esecuzione musicale è presente un'abilità, diciamo, fisico-manuale ed una interpretazione spirituale. Quando le due si integrano si ha una bella esecuzione.
Ora ritorniamo al concetto di ordine che la castità crea nell'esercizio della sessualità. Essa integra la dimensione psico-fisica nella dimensione spirituale. Che cosa significa in realtà questa integrazione? che l'unione fisica esprime veramente la comunione d'amore dello sposo e della sposa, che non esistono più separatamente ma sono l'uno dell'altro. La castità pone ordine nella sessualità perché fa sì che essa sia il linguaggio del vero amore. Si può esprimere questo pensiero con una pagina tratta da un dramma scritto dal S. Padre in giovane età: «Non esiste nulla che più dell'amore occupi sulla superficie della vita umana più spazio, e non esiste nulla che più dell'amore sia sconosciuto e misterioso. Divergenza fra quello che si trova alla superficie ed il mistero dell'amore — ecco la fonte del dramma... La superficie dell'amore ha una sua corrente, corrente rapida, sfavillante, facile al mutamento. Caleidoscopio di onde e di situazioni così piene di fascino. Questa corrente diventa spesso tanto vorticosa da travolgere la gente, donne e uomini. Convinti che hanno toccato il settimo cielo dell'amore — non lo hanno sfiorato nemmeno». E ancora: «La vita è un'avventura che ha anche una sua logica e coerenza — e non si può lasciare il pensiero e l'immaginazione a se stessi! Con che cosa allora devono stare?... il pensiero — evidentemente — deve stare con la verità».
La corrente più o meno varia delle nostre emozioni deve essere inscritta nella tranquilla pace di un amore che si dona: in questo consiste la castità coniugale.
Anche nel caso della castità coniugale sono necessarie alcune condizioni, senza le quali essa non può esistere.
La prima condizione è l'autodominio cui ci si deve educare fin dal fidanzamento ed anche prima. Un'altra condizione è quella che potremmo chiamare la purezza dello sguardo. Gesù nel discorso della montagna parla di uno sguardo che è tale da deturpare la dignità della persona («chi guarda...»). È la capacità di vedere sempre nel corpo ed attraverso il corpo la persona che merita sempre rispetto e venerazione. Quanto è difficile oggi conservare questa purezza! Uno degli aspetti più deteriori della cultura in cui viviamo è proprio l'uso che si fa del corpo, soprattutto femminile, addirittura per scopi economici, come vediamo in tanti spot televisivi.
Dunque, possiamo concludere questo secondo punto della nostra catechesi. La virtù della castità è quella forza interiore che consente agli sposi di vivere la loro sessualità integralmente ed ordinatamente. Essa si pone al servizio dell'amore coniugale, nel senso che solo la persona casta sa amare come si devono amare gli sposi, nel dono totale reciproco delle loro persone.
 
CONCLUSIONE
Uno dei titoli in cui la pietà cristiana ha invocato la Madre di Dio è stato: madre del bell'amore. L'amore cioè ha in sé una sua straordinaria bellezza che lo rende così attraente. Ascoltiamo, per terminare, quanto dice il S. Padre nella Lettera alle famiglie: «Quando parliamo del "bell'amore", parliamo per ciò stesso della bellezza: bellezza dell'amore e bellezza dell'essere umano che, in virtù dello Spirito Santo è capace di tale amore. Parliamo della bellezza dell'uomo e della donna: della loro bellezza come fratelli o sorelle, come fidanzati, come coniugi. Il Vangelo chiarisce non soltanto il mistero del "bell'amore", ma anche quello non meno profondo della bellezza, che è da Dio come l'amore. Sono da Dio l'uomo e la donna, persone chiamate a diventare dono reciproco. Dal dono originario dello Spirito "che dà la vita" scaturisce il dono vicendevole di essere marito o moglie, non meno del dono di essere fratello o sorella».
Gli sposi affidino il loro amore alla Madre dell'amore perché non sia deturpato dal peccato, ma sia casto e forte.

LA PREPARAZIONE AL MATRIMONIO
 
 
La catechesi di questa mattina affronta un tema di grande importanza pratica. Parleremo della preparazione al matrimonio. Probabilmente molte delle persone che mi stanno ascoltando, non sono direttamente interessate, perché già sposate. Tuttavia, prestino ugualmente attenzione. Esse hanno figli o figlie che si sposeranno e devono essere aiutati nella loro preparazione.
 
1. Il primo punto della nostra catechesi è costituito precisamente da questa convinzione: è necessario prepararsi al matrimonio. È necessario perché il matrimonio è una cosa molto seria, dalla quale dipende in larga misura la felicità o l'infelicità della propria esistenza. Se osserviamo il nostro comportamento, vediamo che sempre, quando dobbiamo affrontare qualcosa che riteniamo importante, non vi andiamo mai impreparati. Pensiamo, per fare solo un esempio, se una persona intende partecipare ad un concorso da cui dipende il suo lavoro. Essa non comincia a pensarvi qualche giorno o qualche ora prima. Spesso si prepara per molto tempo. Cerca tutti quei sussidi che pensa la possano aiutare per affrontare quell'esame. Si mette a studiare quelle materie che presume saranno oggetto di esame. Se può, parla con persone che hanno già sostenuto quell'esame per sapere più o meno quali domande faranno, quali prove si dovranno sostenere, e cosi via.
Dunque, vedete ci si prepara cercando i sussidi, studiando per conoscere la materia, parlando con persone esperte. Lasciamo per ora questo esempio sul quale ritorneremo più avanti. Se, dunque, per cose che sono certamente serie ci prepariamo, come è possibile non farlo per una cosa tanto seria come il matrimonio? Non voglio ora dirvi perché il matrimonio è una cose seria. Dovrei ripetervi tutte le catechesi precedenti. Esse precisamente miravano a mostrarvi la grandezza, la bellezza, la preziosità, la santità del matrimonio.
Tuttavia oggi è spesso presente nei giovani un gravissimo errore che, se penetra nel loro spirito, impedisce loro qualsiasi preparazione al matrimonio. Questo errore di solito si formula nella loro mente in questo modo: «non ci preoccupiamo più di tanto; sposiamoci; se poi non va, c'è il divorzio e ciascuno se ne ritorna libero». Questa attitudine oggi è molto diffusa. Essa è spaventosamente dannosa. È una delle più gravi disgrazie spirituali in cui possa cadere un giovane. Perché? Perché chi si prepara, sarebbe più giusto dire chi non si prepara così al matrimonio, può essere sicuro che il suo (pseudo-)matrimonio così costruito fallirà certamente. Per quali ragioni?
Per una: perché i due non decidono mai di sposarsi, ma decidono semplicemente di convivere facendo uso uno dell'altro. È una sorta di contratto con cui si concede all'altro l'uso della propria persona fino a quando questo uso possa procurare piacere o benessere psichico. Ci troviamo nell'attitudine più anticoniugale che esista. In che cosa consiste infatti la coniugalità, l'amore coniugale? lo abbiamo già detto varie volte nelle catechesi precedenti. Esso è il dono totale e definitivo della propria persona all'altro. L'amore, il vero amore non mette mai limiti di tempo, non mette mai condizioni. La persona dell'altro non è mai considerata come qualcosa di cui potersi servire per se stessi. Chi ama non dice mai alla persona amata: «come mi è utile che tu ci sia!» Non dice mai: «come mi piace che tu ci sia!». Chi ama dice alla persona amata: come è bene, come è bello che tu ci sia! Introdurre nella relazione, nella comunione coniugale condizioni risolutive e introdurvi un germe patogeno che prima o poi semplicemente la distruggerà. Per questa ragione chi si prepara al matrimonio pensando che tanto poi, «se le cose non funzionano, c'è il divorzio», pone le basi e le premesse per un sicuro fallimento.
Ma esiste oggi anche un altro fatto che impedisce una seria preparazione al matrimonio. È il fenomeno delle cosiddette «libere convivenze». In che cosa consiste? I due giovani decidono di convivere come se fossero sposi, senza però nessun atto pubblico né religioso, né civile: è un fatto che riguarda esclusivamente loro due.
Alla radice di questo fatto che nelle grandi città soprattutto va sempre più diffondendosi, sta un'esperienza della propria libertà, del proprio amore, che si è completamente corrotta. E ciò può vedersi da due punti di vista.
L'amore coniugale non è mai un fatto che riguarda solo due individui. L'amore coniugale è un'esperienza nella quale la persona stessa dell'uomo e della donna è pienamente coinvolta. Ora, la persona non è un individuo isolato: è nella comunità in cui vive. Il loro amore non è solo un fatto loro: è un evento nel quale si realizza anche il bene della comunità.
E scopriamo così la vera radice di questo fenomeno delle «libere» convivenze: l'individualismo. La libera convivenza è semplicemente la somma di due individui. Che cosa è, in che cosa consiste l'individualismo? È quell'uso della propria libertà nel quale il soggetto fa ciò che vuole, stabilendo egli stesso la verità di ciò che gli piace o gli torna utile. Non ammette che altri voglia o esiga qualcosa da lui nel nome di una esigenza oggettiva. Instaurandosi queste libere convivenze, diminuisce la stima del matrimonio e quindi la consapevolezza della necessità di prepararsi seriamente.
Abbiamo parlato finora della preparazione al matrimonio. Ma come abbiamo visto nelle catechesi precedenti, la comunità matrimoniale è intimamente orientata a divenire famiglia, attraverso il dono della vita. È una nuova prospettiva che ci illumina ancora più profondamente sulla necessità della preparazione.
Nelle catechesi precedenti abbiamo parlato a lungo della sublimità della vocazione e della missione di donare la vita ad una nuova persona umana, attraverso la generazione e l'educazione. È una tale sublimità che ci dice come i fidanzati devono prepararsi profondamente: generare ed educare una persona umana è l'opera più grande che si possa compiere. È molto più grande che costruire la cupola di S. Pietro. Questa finirà come tutte le cose di questo mondo. La persona umana non finirà mai, perché essa non appartiene a questo mondo. Appartiene all'eternità di Dio.
Dunque, concludendo questo primo punto della nostra catechesi, dobbiamo essere profondamente convinti della necessità di una profonda preparazione al matrimonio.
 
2. Ed ora riflettiamo sul secondo aspetto della nostra catechesi. È necessario prepararsi al matrimonio. Ma come prepararsi? Cerchiamo ora di rispondere a questa domanda. Proviamo a considerare che cosa facciamo, quando vogliamo prepararci a qualcosa, per esempio a svolgere una professione. È un esempio, ovviamente, per aiutarci a capire: il matrimonio non è una professione.
Si comincia ad acquisire, a venire in possesso di tutte le conoscenze che sono necessarie per esercitare quella professione: il medico deve conoscere come è fatto e come funziona il corpo umano; l'avvocato deve conoscere le leggi e cosi via. Chi si prepara al matrimonio, deve sapere che cosa significa sposarsi.
Ma questo non basta. Ogni professione esige dalle persone determinate qualità umane e spirituali. Può una persona pensare di fare il medico se non sopporta gli ammalati, se non ha pazienza con chi soffre? può una persona pensare di fare l'autista se non ci vede bene? Chi si prepara al matrimonio, deve educarsi ad acquisire qualità spirituali necessarie per vivere la vita matrimoniale.
Ma questo non basta. Ogni professione esige che chi si appresta ad esercitarla prenda contatto con chi è già esperto in essa: esservi come introdotto gradualmente.
I giovani medici fanno, si dice, la pratica negli ospedali; i giovani avvocati all'inizio lavorano nello studio di chi è già affermato nella professione. Chi si prepara al matrimonio deve essere guidato nel suo cammino verso questo stato di vita.
Vedete: quasi senza accorgercene, abbiamo individuato tutti i momenti essenziali della preparazione al matrimonio: Il primo: sapere che cosa significa sposarsi. È la base di tutto. Quanti giovani oggi si sposano, conoscendo veramente la grandezza, la dignità, la bellezza e quindi la responsabilità della vita coniugale? La radice della nostra libertà è la conoscenza della verità: chi è ignorante non è libero. Quale libertà, nel senso più profondo del termine, è presente in chi si sposa, senza sapere veramente che cosa è il matrimonio? Poi si dice: «Se avessi saputo...». Allora è necessario premettere al matrimonio una vera, prolungata catechesi sul matrimonio. Certamente, ormai ovunque in Italia si fanno i corsi di preparazione al matrimonio. Parteciparvi è necessario, ma non basta. La riflessione profonda sul matrimonio esige tempo e calma.
E vorrei fermarmi al riguardo su quattro aspetti.
Il primo. La realtà del matrimonio è una realtà santa, è un sacramento, come abbiamo lungamente spiegato nelle catechesi precedenti. Solo il Signore può introdurci nella sua comprensione. La prima preparazione al matrimonio consiste nella preghiera, la preghiera allo Spirito perché faccia penetrare nel cuore dei fidanzati la Verità, il Vangelo del matrimonio. È Lui solamente che può istruirli e far loro gustare la santità della vocazione matrimoniale.
Il secondo. Poiché ci si prepara in due al matrimonio, è necessario che questa scoperta della vocazione matrimoniale sia fatta assieme. I due fidanzati devono confrontare la loro idea di matrimonio. Sulle questioni essenziali deve esserci un accordo altrimenti è meglio lasciarsi. Quali questioni fondamentali? Le seguenti: l'indissolubilità del vincolo coniugale e quindi l'esclusione in ogni caso del divorzio; il numero dei figli e la loro educazione, soprattutto per ciò che riguarda la loro educazione religiosa; la maniera di realizzare la procreazione responsabile, escludendo la contraccezione. Come vedete, è necessaria una profonda confidenza fra i due fidanzati, fondata su un grande rispetto reciproco.
Il terzo: acquisire le qualità (le virtù) spirituali necessarie per vivere la vita coniugale. Non è sufficiente sapere che cosa è il matrimonio; è necessario disporci profondamente a viverlo. Come abbiamo detto nella catechesi precedente, esistono delle virtù che sono assolutamente necessarie per la vita degli sposi. Vi ricordate? l'amore coniugale, la castità, l'umiltà per esempio. Durante il fidanzamento deve esserci un'educazione a queste fondamentali virtù. Vorrei fare qualche esemplificazione. I due fidanzati devono rendersi conto della necessità di correggere molti loro difetti. Devono aiutarsi a vicenda. La correzione reciproca è un atto di profondo amore. Perché il fidanzato non potrebbe, non dovrebbe dire alla fidanzata e viceversa: «Io cercherò di correggermi in tutto ciò che di storto c'è nel mio carattere; però anche tu devi dirmi quali sono i miei difetti, che io forse non vedo, perché possa correggermi».
Ma la cosa più importante è l'educazione al vero amore reciproco. È il punto centrale di ogni vero fidanzamento. Imparare ad amarsi è la più sublime delle scienze. È la scienza dei santi, si dice. Ed è vero: infatti la santità non è altro che la perfezione dell'amore. Ma come si impara ad amare? Dio si è fatto uomo per dirci che Egli è amore e per insegnarci che cosa significa amare. Allora andiamo alla sua scuola e vedremo che cosa significa amare.
Che cosa vediamo? Vediamo in primo luogo che Egli non tiene in considerazione il suo essere Dio: si spogliò della sua Gloria e la nascose nell'umiltà della nostra carne. Egli non volle piacere a se stesso: si assunse le nostre miserie, fino in fondo. Quale umiltà, quale rispetto profondo per ciascuno di noi! È nella contemplazione continua di questo amore che i fidanzati impareranno che cosa significa amare. È difficile tutto questo? Ascoltiamo che cosa dice S. Agostino: «Tu senti Cristo che dice: "Il mio carico è leggero", poi senti parlare dei martiri e di tutte le pene atroci che hanno dovuto sopportare per Cristo, e dici tra te: Come può un tale carico essere chiamato leggero? Ebbene — risponde Agostino — io ti dico che essi non soffrirono! Perché non soffrirono? Perché sopportarono tutte le torture mediante la carità. È essa il carico di Cristo che Egli si degna di imporci, esso si chiama carità, si chiama amore. Animato da essa ti sarà facile tutto ciò che prima era assai faticoso; sorretto da essa ti sarà leggero tutto ciò che prima giudicavi pesante. Prendi questo carico; non ti opprimerà, ti solleverà, sarà per te come delle ali... Accogliete questo carico e queste ali e se avete cominciato ad averle, fatele crescere... Un'ala è: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente" (Mt. 22, 37). Ma non rimanere attaccato ad un'ala sola, poiché se credi di averne una sola, non hai in verità neppure quella. La seconda ala è: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt. 22, 39). Poiché se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? Aggiungi anche quest'altra ala e in tal modo potrai volare» (S. Agostino, Sermo 68, 13).
Certo l'amore esige la rinuncia al proprio egoismo: è questo il vero sforzo che dobbiamo fare.
Ma chi dice amore fra fidanzati, pensa anche al problema dei rapporti sessuali durante il fidanzamento. È un punto assai importante. Ne dobbiamo ora parlare serenamente. Il rapporto sessuale fra un uomo e una donna è un atto molto serio e molto grande: non è un gioco. Esso porta inscritto in se stesso un significato molto profondo. Quale? Esso dice donazione completa di se stesso: è il linguaggio del dono della propria persona e dell'accoglienza del dono che l'altro fa. La donazione completa è sempre anche definitiva. Il gesto sessuale implica e conferma un vincolo indissolubile fra le due persone, cioè il matrimonio. Ecco perché solo nel matrimonio, quel gesto è veramente umano: compiuto fra fidanzati è come una sorta di bugia che si dicono reciprocamente.
Ma c'è una ragione ancora più profonda che solo la fede può percepire. Dice S. Paolo: «Voi non siete vostri, siete stati comperati... glorificate Dio nel vostro corpo». Che cosa significa? noi non apparteniamo a noi stessi: la fidanzata non appartiene a se stessa; il fidanzato non appartiene a se stesso: sono del Signore. Si può donare ciò che non si possiede? Il Signore fa dono della fidanzata al fidanzato precisamente nel matrimonio: il matrimonio è questo dono fatto da Dio medesimo. Prima è qualcosa di illegittimo. È come voler unire ciò che Dio tiene ancora diviso, cosi come dopo il matrimonio, volere separare ciò che Dio ha unito. Questo mistero — esclama ancora S. Paolo — è grande!
Durante il fidanzamento è necessario educarci a questo autodominio che è fatto di rispetto dell'altro.
Il quarto: la guida al matrimonio. Come si vede la preparazione al matrimonio è qualcosa di molto grande. I fidanzati devono essere aiutati, devono lasciarsi guidare. È molto importante una vera e propria direzione spirituale, durante il fidanzamento. Trovare qualche santo sacerdote al quale aprirci in piena confidenza perché ci guidi nella via del Signore. Inoltre, occorre che i fidanzati abbiano un dialogo molto profondo coi loro genitori proprio per tutti i problemi riguardanti il loro fidanzamento e la loro preparazione al matrimonio. Direttore spirituale e genitori sono le guide principali.
 
CONCLUSIONE
Ho terminato. Un grande rabbino ebreo scrisse: il vero esilio di Israele in Egitto fu che si era abituato a sopportarlo.
La vera disgrazia di tanti giovani è che si siano rassegnati a pensare che il vero amore sia impossibile, che la castità sia persino un male. È questo il vero esilio di tanti fidanzati oggi.
Risuoni il Vangelo del matrimonio nel loro cuore!

IL SACRAMENTO DIVENTA DRAMMA: le crisi nel matrimonio.
 
 
Terminando questo ciclo delle nostre Catechesi, non possiamo non parlare della possibilità, della drammatica possibilità che il sacramento si trasformi in tragedia, che il matrimonio «fallisca», come si suole dire. Dobbiamo ora riflettere su questo tema, perché sappiamo vivere queste situazioni nel Signore e/o aiutare chi le vive a non distruggere il senso della loro vita.
 
1. LE RADICI ULTIME DI OGNI CRISI
Cominciamo subito col richiamare la nostra attenzione su una certezza della nostra fede, che forse stiamo troppo dimenticando: esiste nel cuore di ciascuno di noi e nel mondo in cui viviamo una lotta, uno scontro fra il bene e il male.
E, dunque, anche nel cuore di ogni sposo e di ogni sposa esiste uno scontro fra il bene che è il loro matrimonio, l'amore coniugale vero che lo Spirito Santo ha loro donato ed il male che è il loro egoismo, il loro orgoglio, la loro sensualità disintegrata dal vero amore. È una guerra molto dura, come cercheremo di spiegare più avanti. E chi sono i personaggi, diciamo così, che prendono parte a questo scontro, i contendenti?
Anche per rispondere a questa domanda dobbiamo metterci in ascolto profondo della Parola di Dio, come ci è stata predicata dalla Chiesa.
Essa ci dice che il primo partecipante a questo scontro è il demonio, il satana: egli esiste, è sempre attivo e cerca di indurre ogni sposo ed ogni sposa a trasgredire la santità, a deturpare la bellezza dell'amore coniugale. È omicida e padre di ogni menzogna (cfr. Gv. 8, 44) e quindi si sa mascherare da angelo di luce (cfr. 2 Cor. 11, 14) per poterci meglio ingannare.
Ma esiste anche ed è sempre attiva un'altra persona: è lo Spirito Santo che abita nel cuore di ogni credente e lo spinge soavemente e fortemente verso tutto ciò che nel matrimonio è vero, è buono, è bello, è santo.
E poi, in questo scontro, ci siamo noi: ciascuno di noi, ciascuna sposa e ciascuno sposo nel suo matrimonio. In forza del sacramento del matrimonio, gli sposi sono resi partecipi dello stesso amore di Cristo, come abbiamo spiegato in una catechesi precedente; sono resi capaci di amare con lo stesso amore di Cristo. Ma questo avviene in un cuore nel quale continua a permanere la suggestione e l'attrattiva del male.
Ecco, abbiamo individuato il luogo più profondo dove hanno origine anche le crisi del matrimonio, poiché in questo luogo ha semplicemente origine la storia di ciascuno di noi. Esso è costituito da questo incrocio di tre libertà: la libertà dello Spirito, la libertà della persona umana, la libertà di Satana. Come vedete, siamo sempre coinvolti in un contrasto drammatico, e a nessuno è concesso di essere spettatore neutrale o disinteressato.
Tuttavia, proprio a questo punto devo richiamare un'altra verità della nostra fede: la potenza vittoriosa del Signore Risorto. Se leggiamo attentamente la S. Scrittura, vediamo che spessissimo quando Dio si rivolge a qualcuno, inizia sempre il suo dialogo con un «Non temere...». E se leggiamo attentamente le lettere di S. Paolo, vediamo che spessissimo Egli ricorda ai suoi fedeli la forza invincibile del Signore, la «straordinaria grandezza della sua forza» (Ef. 1, 19), la «efficacia della sua forza» e inviterà i suoi fedeli con queste parole: «attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza» (Ef. 6, 10). Ecco perché in qualunque situazione possiamo trovarci nel nostro matrimonio, il Signore è sempre più grande e più forte del male in cui, responsabilmente o non, possiamo cadere.
 
2. LE CRISI DEL MATRIMONIO
Alla luce di queste verità della nostra fede possiamo ora vedere quali crisi possono investire un matrimonio e come il discepolo di Cristo deve comportarsi in esse.
 
2.1. Cominciamo da quelle quotidiane, così possiamo chiamarle, crisi che possono accompagnare la vita matrimoniale. Esse possono nascere da mancanza di dialogo fra i due sposi, di confidenza reciproca profonda, a volte anche dai piccoli muri di incomprensione e di risentimenti che possono gradualmente sorgere. Se teniamo presente che il padre della menzogna continua a suggestionarci, come dicevamo, e se teniamo conto del fatto che spesso la nostra libertà cede a queste suggestioni, non ci meraviglieremo più di quel tanto constatando come spesso tutto questo accade in ogni matrimonio. È assai importante che gli sposi siano vigilanti nella custodia del loro cuore da tutte queste attitudini che spesso nascono dall'orgoglio. Ne abbiamo già parlato in una catechesi precedente. Per costruire una profonda comunione coniugale, attraverso l'usura del quotidiano, è necessaria una grande umiltà che sola permette di sciogliere ogni principio di ruggine, di incomprensione e di risentimento.
 
2.2. Tuttavia può essere l'inizio o il segno di una crisi ben più profonda che può investire il matrimonio. È la crisi che potremmo chiamare di «stanchezza», di «abitudine», di «noia»: si è stanchi del proprio matrimonio, perché ci si è abituati in un modo che spesso se ne è perfino annoiati. È una situazione che è molto grave, e purtroppo oggi più frequente di quanto si pensi. Molto grave perché può portare fino alla rottura vera e propria. Significativamente veniva chiamata la «crisi del decimo anno». Veniva chiamata. Infatti anche una recentissima inchiesta svolta in una regione del Nord Italia ci ha detto che spesso questo accade nei primi quattro anni di matrimonio.
Dobbiamo riflettere molto profondamente su questo tipo di crisi, per prevenirla e per guarirne. Proviamo a chiederci: quando ci annoiamo di qualcosa? Se facciamo attenzione, vediamo che la noia è la conseguenza della ripetizione. Ci si annoia quando si ripetono sempre le stesse cose. Ci si annoia quando non esiste più l'imprevisto; quando si esclude che possa esistere o accadere qualcosa di nuovo nella nostra vita: sempre lo stesso, sempre uguale. Ecco il terreno di cui si nutre la noia.
Ma se è così, allora noi comprendiamo subito che esiste un solo, vero antidoto alla noia: l'amore. Chi ha il cuore pieno di amore possiede un tale anticorpo che appena il germe patogeno della noia si introduce nel nostro organismo spirituale, esso viene subito espulso. Perché l'amore non si annoia mai? perché, come dice un antico proverbio, anche se esso dice e fa sempre le stesse cose non si ripete mai. S. Francesco passò intere notti e giorni dicendo sempre: «Dio mio e mio tutto!»: come ha potuto farlo senza annoiarsi mai? l'amore non ripete mai, anche se continua a dire le stesse parole. L'amore è la novità continua; è sempre imprevedibile. Abbiamo così raggiunto una convinzione assai importante: ci si annoia del proprio matrimonio quando fra gli sposi non vi è vero amore coniugale. E ora dobbiamo fermarci con molta attenzione su questo punto. E lo voglio fare nella maniera più semplice possibile.
In generale, di fronte ad un bicchiere di acqua non ci poniamo il problema se è acqua vera o falsa, poiché ciò che si presenta come acqua di solito è acqua. La cosa cambia col vino: ci si deve spesso preoccupare di sapere se ciò che ci si presenta, che appare come vino è vino. Dunque: esistono delle apparenze che ingannano, nel senso che ci fanno credere di essere ciò che non sono. In questo caso si parla di vero/falso: vino vero - vino falso. E dell'amore coniugale si può parlare di vero amore coniugale e di falso amore coniugale. Cioè: esiste un'apparenza di amore coniugale cui non corrisponde la realtà dell'amore coniugale. Ora l'apparenza può ingannarci per qualche tempo, più o meno lungo. Ma arriva il momento della verità e ci si rende conto della menzogna con cui i due sposi si erano ingannati ed allora dicono: ma noi non ci amiamo! Ed è la crisi di cui stiamo precisamente parlando.
Ma allora quando si confonde l'apparenza colla realtà dell'amore coniugale? molto brutalmente: quando si crede di amarsi perché semplicemente si sente una forte attrazione sessuale e subito si compiono, già prima del matrimonio, atti sessuali. La confusione è di pensare che l'amore coniugale sia questo. Perché questo, dopo un po' di tempo, stanca e genera la noia? Ancora una volta vorrei aiutarvi con alcuni esempi. Avete mai notato una strana differenza? L'occhio è fatto per la luce, tuttavia quando la luce è troppo intensa, esso ne soffre; non solo, ma non può stare sempre nella luce: ha bisogno di riposarsi nel sonno. L'orecchio è fatto per il suono, tuttavia il rumore continuo lo distrugge: ha bisogno di momenti di silenzio. La nostra intelligenza è fatta per la verità, tuttavia essa non si stanca mai di conoscerla: vorrebbe conoscere sempre più ed essere sempre meno ignorante. La nostra volontà è fatta per il bene e non si stanca mai di amare ciò che è bene, ciò che è bello, ciò che è giusto. Vedete: i sensi si stancano, si annoiano; lo spirito non si stanca mai perché è sempre nuovo. Se riduco l'amore coniugale ai sensi o poco più, prima o poi ci si stanca, ci si annoia perché si ripete.
Al contrario, ho sentito tanti sposi che dopo venti, trenta o cinquant'anni di matrimonio, mi dicono: «Ci amiamo come e più del primo giorno». Ecco la perenne giovinezza dello spirito anche nel corpo che si va disfacendo, perché l'amore vero non può invecchiare.
 
2.3. E qui dobbiamo parlare del passo successivo ancora più terribile: l'infedeltà coniugale o adulterio.
Certamente è necessario fare una distinzione importante. La libertà umana è sempre fallibile, anche la libertà dei santi e questi per primi ne erano profondamente consapevoli. Dunque, è sempre possibile qualsiasi «capitombolo»: è sempre possibile una «sbandata». Insomma: ci può essere una infedeltà di un momentaneo ottenebramento della mente e del cuore.
Ma in questi casi, la persona riavutasi, solitamente si rende conto della gravità del fatto e deve operare immediatamente la sua conversione. Alessandro Manzoni scrisse profondamente che il male è un padrone così fatto che se non vuoi servirlo, devi ribellarti completamente: col male non si può venire a patti.
Ma ancora più grave è la situazione di chi deturpa e rovina la santità del matrimonio con relazioni adulterine. La posizione di fronte a Dio di questa persona è di indescrivibile gravità: essa introduce il peccato nel santuario dell'amore coniugale e sconsacra il segno dell'amore stesso di Cristo, violando il tempio santo in cui Dio celebra il suo amore creatore. A queste persone non resta che dire: ritornate al Signore, poiché se rimanete in questa situazione, andate verso la vostra autodistruzione ora e alla dannazione eterna poi.
Ma qualcuno potrebbe chiedere, e giustamente: ed il coniuge innocente che cosa deve fare in queste condizioni? Facciamo le due ipotesi: il coniuge adultero si pente e chiede perdono. Il coniuge innocente non può non perdonarlo. So che sto dicendo una cosa difficile. Ma non lo dico io, lo dice il Signore: Egli non ha fatto eccezioni quando ci chiese di perdonare sempre. Oppure, altra ipotesi, l'adultero non ha nessuna intenzione di smettere, anche se richiamato. È una situazione drammatica in cui il coniuge fedele deve vigilare nella preghiera. Se non si oppone il bene dei figli, in questa situazione solitamente è meglio la separazione.
Ma non vorrei terminare questo grave argomento senza ricordare la parola di Gesù: «Se uno guarda...». C'è un adulterio nel corpo e c'è un adulterio nel cuore. La purezza del cuore, l'appartenenza totale, non solo fisica, allo sposo/a deve essere esclusiva. In questo sta la grandezza e la bellezza della fedeltà coniugale.
 
2.4. Siamo così giunti alla situazione veramente più grave, il divorzio.
Vorrei prima di tutto richiamare alcuni punti fondamentali della dottrina cristiana al riguardo.
Ci sono delle situazioni nelle quali il continuare a convivere significherebbe la distruzione spirituale, umana degli sposi o di uno di loro, la rinuncia alla propria dignità di persona. In questi casi si può, si deve ricorrere alla separazione, cercando di tutelare nel modo migliore possibile il bene degli innocenti, cioè dei figli.
Ma la separazione non significa rottura del vincolo coniugale che è infrangibile da parte degli sposi, non significa divorzio che fra battezzati non esiste, non può esistere.
Tuttavia può accadere che uno dei due chieda, ottenga il divorzio e si risposi. Resta nel coniuge abbandonato l'amarezza di una solitudine che può essere pessima consigliera, in tutti i sensi. Mai come in questa situazione il coniuge deve vigilare nella preghiera per ottenere la forza di continuare a rimanere nella fedeltà ad un amore che è stato tradito. In questa situazione, come non ricordare a questo coniuge una verità centrale della nostra fede: Dio resta sempre fedele, ci ama sempre, anche quando lo tradiamo? Il coniuge è chiamato a dare alla Chiesa questa straordinaria testimonianza: la testimonianza vissuta della verità dell'amore che ama sempre e comunque.
Ecco abbiamo visto quattro delle principali crisi in cui può trovarsi un matrimonio. Ora alcune riflessioni conclusive per rispondere ad una domanda naturale: ma come fare per non entrare in questi casi e per guarirne quando esistono?
 
CONCLUSIONE
Sono sempre più convinto che la stragrande maggioranza delle crisi matrimoniali sia causato dalla mancanza di preparazione al matrimonio. Anche recenti studi hanno confermato questa convinzione.
Come vi dicevo qui si incrociano tre libertà, quelle di Dio che vuole la nostra salvezza, quelle di Satana che vuole la nostra perdizione e la nostra libertà che deve sempre più radicarsi nella volontà, nell'amore del Signore. Come? attraverso la preghiera e la pratica frequente del Sacramento della confessione e la partecipazione profonda all'Eucarestia.
 
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