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Gioia di vivere a Villa del fuoco
L’Inverno
 INTRODUZIONE
 
     La mia tesi posta in precedenza che viene ribadita anche in questa occasione consiste nel fatto che ogni stagione offre i propri doni con un equilibrio perfetto.
     LA NATURA pone anche delle difficoltà notevoli all’uomo, difficoltà estremizzate dal poeta
 Giacomo Leopardi nell’operetta morale “Dialogo DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE”.
     L’inverno con le sue condizioni atmosferiche non favorevoli alle creature più fragili e meno protette potrebbe apparire come la stagione peggiore dell’anno.
     I poeti e gli scrittori hanno messo in evidenza tale aspetto in varie opere anche se è noto che sotto la neve c’è il pane.
     Molti temono l’avvicinarsi della fredda stagione e la fiaba “La piccola fiammiferaia” di H.
Cristian Andersen offre al lettore un validissimo esempio.
     Negativa, dunque , questa stagione ?
     Per un momento il piatto della bilancia può pendere in tale lato, ma le conclusioni si potranno trarre al termine della lettura del libro.
 
LE FESTE NATALIZIE PREMESSA
 
     Il mese di dicembre viene dedicato alla preparazione delle feste natalizie.
     Le prime due decadi appartengono all’autunno e, come ho già riferito nel precedente volume, tutte le famiglie svolgono la maggior parte delle attività per le le feste natalizie.
     Quando inizia l’inverno tutto è predisposto e i negozi di qualsiasi titpo sono illuminati e addobbati in modo meraviglioso.
     I ricordi sono tanti e tutti apportatori di gioia, di serenità e tranquillità. Cercherò di descriverli come si presentano nella mia mente.
     L’importanza della condotta familiare è notevole e determinante ai fini della formazione dei minori. Ho già descritto con quanto orgoglio le famiglie provvedevano alla cura dei piccolo nelle varie occasioni di notevole importanza.
      Mio padre , quando non avevo raggiunto l’età scolare , acquistò alcune statuie per il presepio, del muschio, una capanna e invitò un nostro vicino ”Bertino” Straccini che era abilissimo in varie attività artigianali.
 
IL MIO PRIMO PRESEPIO
 
       Nella mia sala da pranzo c’era allora una credenza che tra il piano inferiore, composto di due ripiani protetti da due sportelli e da due cassetti, e quello superiore completamente a giorno per mettere in mostra i servizi più belli e raffinati, avuti per la maggior parte come regali di nozze o in occasioni di notevole importanza, c’era un ampio spazio, sede di soprammobili caratteristici del tempo. Tra quelli primeggiava un orologio a molla montato su
un cocchio trainati da quattro cavalli diretti da un cocchiere con abiti caratteristici, il mantello e il cappello alla moda del tempo.
       Su quello spazio, reso libero per l’occasione, fu allestito il primo presepio della mia vita e, da quel momento, il mio desiderio era tale da pensare sempre a realizzare con elementi tanto particolari, attraenti, affascinanti da attirare l’attenzione del visitatore, dal quale attendevo critiche, suggerimenti, ma soprattutto commenti particolari e raramente complimenti e lodi.
 
I NEGOZI E LE SCUOLE
 
       Immediatamente prima e dopo la seconda guerra mondiale il negozio che metteva in mostra uno dei presepi migliori sotto ogni punto di vista era la cartoleria "Antonelli", attualmente di Carfagna Ildebrando, che si trovava e si trova ancora sul viale G. D’Annunzio.
       Ogni mattina che mi recavo a scuola, anche se non era l’unica via che io dovessi percorrere, facevo di tutto per imboccarla, fermarmi davanti a quel negozio ed osservare tutti quegli elementi che i proprietari mettevano in mostra per attirare l’attenzione degli acquirenti.
        Nel periodo natalizio la maggior parte dei negozi addobbano le loro vetrine e, oltre agli auguri per le feste espressi in vari modi , dispongono stelle filanti scintillanti, la capanna rappresentante la natività, corone di vischio, muschio, luci intermittenti e lunghe infilate di sfere variamente colorate e di dimensioni diverse. Ogni novità costituiva maggiore attrazione e
l’illuminazione ad intermittenza ebbe in passato notevole successo.
        Qual era il percorso che effettuavo per recarmi a scuola ?
        Devo premettere che le scuole da me frequentate sono situate tutte nella vecchia Pescara (Pescara P. N.). Sono facilmente individuabili e rappresentabili come i vertici di un triangolo scaleno.
         La scuola elementare era una della principale della città negli anni trenta ed era situata in via Francesco Tedesco, oggi via Italica.
         La scuola media “Antonelli” era annessa all’Istituto Magistrale “G. Marconi” in via V. Colonna.
         Il liceo scientifico parificato del Collegio Aterno sito in via dei Marsi.
        Durante un colloquio avuto con il proprietario della cartoleria Antonelli/Carfagna, ho avuto la conferma che nel periodo anterioe alla seconda guerra mondiale il negozio era intesto alla Signora Rosina Antonelli, da cui la denominazione. Era, invece. Gestito dalla Signorina Linda, sempre gentilissima e stimata da tutti gli acquisrenti.
     Nel secondo dopoguerra la cartoleria è stata intestata ad Ildebrando Carfagna
     Certamente c’erano altri negozi a Pescara C. che dovevano offrire delle opportunità tali da incantare visitatori e passanti, ma specialmente nel periodo anteriore alla seconda guerra mondiale la mia esperienza era limitata a quelli di Pescara Porta Nuova.
     Oltre alla cartoleria “Antonelli” c’era quella di Palusci unitamente ad altri negozi di tipo diverso di tipo diverso come quello di ceramica nella zona storica, ma il mio interesse maggiore era rivolto a quelli incidenti sul viale “G. D’Annunzio” alla destra del viandante proveniente dalla Madonna del Fuoco e, quindi dalla via Tiburtina.
       La capanna ed altri elementi simboleggianti la Natività venivano esposti nella maggior parte dei negozi per ricordare la nascita di Gesù Bambino, ma costituivano una vera e propria attrazione in quelli che si dedicavano alla ricerca e alla vendita del materiale da usare per l’allestimento del presepio sia privato che pubblico.
       Un’altra attrazione era la Piazza XX Settembre, dove mi dilettavo, quando non percorrevo il viale G. D’Annunzio, ad osservare le aiuole , il monumento ai caduti e soprattutto l’ampia vasca con pesci rossi che facevano a gara per impossessarsi dei bocconi che ragazzi ed adulti si divertivano a gettare loro mentre dal centro di una “collinetta” ricoperta interamente di muschio zampillava l’acqua che ricadeva all’interno della vasca.
       L’acquisto degli oggetti esposti nelle vetrine era troppo oneroso per me e, quindi, cercavo sempre di costruire, ad imitazione di quelli osservati edifici, ambienti, vegetazione ed ogni altro elemento che rendesse il presepio tanto attraente da essere invidiato da tutti .
        Forse ho esagerato nell’usare tale espressione, ma certamente c’era e c’è ancora una vera e propria competizione tra i veri costruttori di presepio ed alcuni anni i migliori hanno ricevuto dei premi dopo essere stati visitati da una commissione di esperti.
 
IL PRESEPIO DELLA PARROCCHIA
 
        La Parrocchia della Madonna del Fuoco, unica nella zona per la maggior parte del secolo scorso, aveva sempre coloro che si dedicavano all’allestimento del presepio rendendolo sempre più ampio, più bello e più ricco di particolari.
         Molte sono le caratteristiche che andrebbero messe in evidenza, ma ne cito solamente alcune.
         Si attendeva il termine della celebrazione della messa, momento in cui Don Mario metteva in moto tutto l’ingranaggio.
          Si vedevano, allora, girare le pale del mulino a vento., scorrere i ruscelli da monte a valle, zampillare fontane, illuminarsi e spegnersi tutti gli edifici, dal palazzo reale alla casa più povera, mentre cura particolare veniva riservata alla capanna al centro di tutta l’esposizione con una illuminazione caratteristica e particolare. Intanto gli artigiani attendevano alle loro attività, la fiamma di ogni focolare o fuoco all’aperto si ravvivava e i viandanti riprendevano il loro cammino verso la grotta di Betlemme mentre il cielo variava di intensità luminosa dall’alba al tramonto. Il ricordo che rimane sempre impresso nella mia mente è quello del fornaio che provvedeva ad introdurre le pagnotte di pane nel suo forno e di boscaioli che tagliavano i tronchi di quercia, pino ed abete, legno per la costruzione di mobili ed oggetti vari e legna da ardere.
           La scena riproducente la Natività era allietata da un lieve e ininterrotto suono della zampogna riproducente il canto “Tu scendi dalle stelle”.
           Di solito si inizia ad allestire il presepio il giorno dell’Immacolata e bisogna terminarlo la Vigilia di Natale, perché nella mezzanotte dello stesso giorno si celebra il rito della nascita di Gesù Bambino.
 
LA ZIA MARIETTA E NONNA NATUCCIA
 
           Prima dell’uso dell’albero di Natale , quasi in ogni casa della “Madonna del Fuoco” veniva allestito il presepio.
           Ebbi l’opportunità di dedicarmi all’allestimento del presepio nel tempo, perché la zia Maria Pelagatti che abitava in un appartamento ereditato dal padre al piano terra della casa colonica di via Tiburtina, n. 257, aveva avuto in dono da una famiglia benestante, alla quale la nonna “Natuccia” forniva li cacigne e la misticanze, alcune statuine di un certo valore e di
altezza diversa. Il ricordo del primo presepio di Bertino, l’amore per il Natale ed il materiale donato suscitarono in me un profondo interesse mantenuto vivo anche durante l’insegnamento.
            Ho ricordato la nonna paterna, perché durante il mio soggiorno estivo a S. Eufemia ho conosciuto Mario Giammarco, docente di lettere, che mi ha letto le sue poesie pubblicate nel volume “VECCHIA PESCARA”. Sono certo che “LA VECCHIARELLA DE LA MISTICANZE”, descritta da lui nella poesia sia la nonna “Natuccia”, che io incontravo spesso, quando tornavo da Roma nelle prime ore del mattino. Con il canestro in testa, l’abito tradizionale, il passo deciso e la corona del rosario in mano, percorreva la via Tiburtina alle prime luci dell’alba e, quando avanzava la fredda stagione e il cielo si ricopriva di nuvole, non era facile distinguere i passanti a distanza. La strada in quel tempo non era illuminata e, di notte, tutti cercavano di percorrerla in compagnia. Quando ci incontravamo, io la rimproveravo amorevolmente e lei mi diceva che doveva mantenere l’impegno preso con alcune famiglie. La poesia citata mette in evidenza il rapporto tra la campagna e la città : la nonna forniva verdure fresche e le famiglie cittadine raccoglievano le sue genuine confidenze. I lettori possono immaginare la gioia che ho provato in tale scoperta, ennesimo tassello di un grande mosaico di storia fochese.  
      Ogni anno la zia Maria disponeva un locale per l’allestimento del presepio. Raccoglievo il muschio nei fossati in abbondanza, costruivo delle capanne sempre più complesse ad imitazione di quelle più belle esposte in città ed edifici di varie dimensioni e di ambienti diversi. Lo zio Ugo acquistava statuine sempre più belle e di dimensioni diverse in modo tale che durante la mia adolescenza avevamo l’occorrente per costruire uno dei presepi più imponenti della zona. Ho conservato tale abitudine da giovane, da insegnante e da maritato.
 
 LA MERAVIAGLIA DI GIACOMO E LE BUONE ABITUDINI
 
      Ho sempre seguito parenti, amici e vicini nello studio e ho imparato le vaie metodologie seguite dai loro docenti. Tra le varie discipline preferivo la matematica e, ancora studente del
liceo scientifico, ebbi modo di apprezzare notevolmente le tecniche didattiche usate dal prof. D’Onofrio, docente di scuola media di mia sorella, Naide. Ho approfondito lo studio della matematica, ho fatto corsi di formazione per i maestri e ho fornito consulenza ai figli delle famiglie fochesi e non. Mi sono dilungato in tale descrizione per riferire un particolare che si riferisce ad uno dei tanti presepi costruiti da me.
      Giacomo Straccini, durante le vacanze di Natale si recava a casa mia per svolgere i compiti di matematica e rimase notevolmente colpito dal movimento di alcune statuine che effettuavano un breve percorso per raggiungere la capanna. Il congegno era semplice, ma la meraviglia tanta che continua ancora oggi, a distanza di alcuni decenni, a raccontarlo ogni volta che si presenta l’occasione. In passato alcune famiglie amiche si riunivano spesso per continuare la gioia di vivere a Villa del Fuoco, consuetudine che si va perdendo. Bisognerà fornire il nostro ambiente di locali adatti alla trasmissione e comunicazione della cultura fochese ed abruzzese perché le future generazioni ne possano conoscere, apprezzare e condividere i particolari che ci hanno resi profondamente soddisfatti. Preferisco, allo scopo di non scoraggiare alcuno per il non facile compito formativo dei giovani, ricordare quanto asserì Don Marcello nell’Omelia dei 15 luglio 1995 : “Noi dovevamo mostrarci immacolati davanti alla Madonna.....” E riferì un particolare che gli impedì di recarsi in Chiesa durante i festeggiamenti da ragazzo. Quindi aggiunse : ”Quando bisognava cavare un pozzo a Villa del Fuoco spesso si litigava per le varie scelte, ma sicuramente il lavoro veniva adeguatamente
realizzato”. Certamente con lo stesso impegno i Fochesi continueranno a costruire e conservare il loro ambiente in modo valido da qualsiasi punto di vista : laborioso, fisico, morale ed educativo. 
 
IL PRESEPIO NEL TEMPO E NELLA SCUOLA
 
     Luigi Santucci nella sua opera “LA LETTERATURA INFANTILE” asserisce : <<Il miito del fanciullo occidentale, chi volesse circoscriverlo nello spazio e nel tempo, lo vedrebbe campito, come in una mandorla luminosa, nella grotta do Betlemme. Attorno alla saga dei doni e dei dolciumi, il Natale ha un suo villaggio in cui si danno convegno tutti i fantasmi del sogno infantile>>.
     Oserei aggiungere che tale sogno permane nel tempo nella maggior parte dei componenti gruppi sociali come quello di Villa del Fuoco.
      Ho già asserito che non ho mai abbandonato l’amore per il presepio e per il suo allestimento. Nel secondo dopoguerra c’era un amico e compagno di scuola, Viero Cognigni, che abitava nel palazzo rosso di via G. D’Annunzio ed ogni anno costruiva in casa il presepio. Egli aveva molta fantasia e riusciva a rappresentare la Natività in modo esemplare. Aspettavo con ansia il suo invito a visitare di anno in anno il suo presepio che forniva sempre delle novità
da meravigliare il visitatore.
      Ho insegnato con l’attuale modulo che prevede almeno tre insegnanti, ciascuno per i principali gruppi di discipline, un solo anno al termine del mio insegnamento di ruolo ed ho avuto l’opportunità di allestire insieme agli alunni il presepio in classe o nell’aula magna della sede.     
      Quando si stabilì di far scegliere alle famiglie di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, io decisi di dedicarmi alle attività alternative per quegli alunni che non seguivano le lezioni ditale insegnante. Tuttavia l’accordo con Letizia, l’insegnante di religione assegnata alla mia classe era notevole e la programmazione veniva stilata in modo tale da rispettare le esigenze di tutti gli alunni e la didattica teneva in debito conto ogni ricorrenza e festività. Il Natale era al primo posto. La maggior parte delle poesie e dei racconti di Gianni Rodari, maestro, scrittore, poeta e pedagogista, venivano inseriti nel programma nella scuola di via Stradonetto, attualmente “G. Rodari” in cui ho insegnato per oltre un ventennio. Conservo ancora registrazioni, fotografie, disegni e giornalini che dimostrano con quanta gioia gli alunni
abbiano trascorso nella scuola i periodi più belli dell’anno e in particolare il Natale. Tutte le discipline venivano coinvolte per la preparazione delle cerimonie che si sarebbero svolte durante il periodo natalizio. Le attività manuali e pratiche, preferite dagli alunni, avevano la predominanza, ma erano accompagnate da tutte le altre che traggono origine dalla fantasia e dalla creatività del mondo infantile, come il canto, la musica, il disegno, la pittura, la poesia e la recitazione. Nella programmazione, prima e dopo i programmi ministeriali del 1985, nella scuola di via Stradonetto si è sempre stabilito la collaborazione tra le classi e gli insegnanti e ciascuno forniva il contributo nel campo di maggiore competenza. Ricordo tutti con simpatia e,
in particolare, quelli con i quali ho collaborato maggiormente. Allo scopo di non dimenticare alcuno, mi limiterò a citare due colleghi scomparsi, Marcella Masciovecchio e Nino Di Palma.
      Ma in ogni scuola in cui ho insegnato il presepio è stato allestito. Da citare è quello di Pietrara di Lettomanoppello che fu costruito con statuine di argilla modellate dagli alunni.
      Ero in quell’anno il fiduciario del plesso e Marcello Di Giovanni, docente di dialettologia
presso l’Università di Chieti, allora giovane maestro, si prodigò notevolmente per la costruzione del presepio che riscosse notevole successo nelle famiglie e fu apprezzato dai superiori e da tutti i visitatori. L’amico e collega Filippo Damiani, con il quale ho               insegnato il primo anno di ruolo nel Circolo didattico di Penne, curò il servizio fotografico che parzialmente si conserva. Scomparso, invece, il nastro delle videoriprese.
 
  IL SIGNIFICATO DEL PRESEPIO
 
     C’è l’abitudine di rappresentare la nascita di Gesù Bambino con personaggi, attività e luoghi simili a quelli dell’ambiente locale. Ci sono presepi artistici in tutto il territorio italiano e di diversi periodi storici. Quadri di pittori famosi, sculture rappresentanti la Sacra Famiglia e scene relative alla vita del Redentore si trovano nella maggior parte delle Chiese più importanti delle città italiane antiche e moderne, perché la cultura cristiana nel nostro paese è stata sempre presente.
     I profani, i parrocchiani hanno adattato, come asserivo in precedenza, hanno modellato il presepio riproducendo attività, usi e costumi del loro ambiente. Non sono andato a visitare la Terra Santa, ma Don Giuseppe, il parroco della Chiesa della Madonna del Fuoco, mi ha fatto osservare un videocassetta che riproduce i luoghi della nascita di Gesù ed alcune scene rappresentanti la vita palestinese di duemila anni fa.
     Gradirei fare alcune osservazioni ed esprimere un grande desiderio. Amici fochesi si sono prodigati notevolmente per mantenere alto il prestigio di Villa del Fuoco ed insieme abbiamo prodotto alcuni lavori che sono a disposizione della comunità. Chiedo loro di aiutarmi   a realizzare il presepio ambientato nei luoghi e nei tempi della nascita di Gesù allo scopo di renderne palesi ed evidenti le caratteristiche dopo aver effettuato un attento e approfondito studio.
      Oggi in molte parrocchie si rappresenta la Natività con simboli diversi che mirano a mettere in evidenza il senso dell’umano e del cristiano che si realizzerà solo quando si realizzerà la pace in terra ed in particolare nel luogo di nascita di Gesù.
 
 LE VACANZE
 
        Il presepio era il fulcro delle feste natalizie, ma c’erano tante altre attività che mi ritornano piacevolmente nella mente e che allietavano tutto il periodo delle vacanze scolastiche che iniziavano qualche giorno prima di Natale e terminavano dopo l’Epifania. In casa dell’amico Mario che abitava a qualche centinaio di metri da casa mia i festeggiamenti iniziavano sin dai primi giorni di dicembre. Era un vero piacere riunirsi a in casa sua in serata e giocare fino a notte inoltrata. Le donne di casa facevano trovare ancora caldi i calcionetti e tanti altri fritti tradizionali come “li turcinille”, “li sgaiuzze” e “la cicirchiata”.
       Tutti gli invitati fornivano un contributo a seconda delle loro disponibilità. Di solito io portavo con me qualche “impagliatella” di vino vergine appena spillato dalla botte della mia modesta cantina.
        I festeggiamenti si prolungavano oltre le vacanze scolastiche e, quando c’erano le vigilie, si rimaneva a giocare fino a giorno inoltrato. I familiari e, in modo particolare, le mogli venivano a cercarci, perché non avevano ritrovato i coniugi a letto. Alcune non nascondevano la loro preoccupazione dopo aver visitato più di una casa vicina Era una storia che si ripeteva di anno in anno anche se intimamente ciascuna di loro era certa di ritrovare il proprio marito.     
                                                     
 LA VIGILIA
         Il giorno che precede le feste religiose e non è quello maggiormente rispettato e festeggiato. Lo stesso Leopardi lo esalta nel carme “Il sabato del villaggio”. Tra le vigilie quella di Natale sembra la più importante e bisogna seguire un certo andamento che viene ripetuto in tutte le altre. Si osserva il digiuno in attesa del cenone che inizia nel tardi pomeriggio e termina a sera inoltrata per consentire ai parrocchiani di recarsi alla messa di mezzanotte.
        Quali erano le attività dei ragazzi in tale giorno nel passato ?
        Il desiderio maggiore era quello di vedere cadere la neve : la si attendeva con ansia, impazienza e si rimaneva per lungo tempo ad osservare le falde adagiarsi a terra alcune volte lentamente ed altre con maggiore irruenza. In tale caso i minori della famiglia erano indotti ad emanare grida di gioia che costringevano gli adulti, intenti nei vari preparativi, a distogliersi e ad osservare la nevicata e spesso alcuni di loro meravigliati esclamavano : “Come fiocca!” partecipando e condividendo la loro felicità, perché in tutti rimane per sempre il “fanciullino”
che si riaffaccia nei momenti più belli della vita mettendoli a confronto con quelli del passato.
        Non mancavano esclamazioni di delusione quando la neve smetteva di cadere...Qualche volta il sole faceva capolino e mio padre asseriva che quando “fa occhio” ci si doveva attendere
neve in abbondanza. Quando la neve aveva ‘ncaciate, fatto presa si usciva a giocare a palle di neve e a costruire pupazzi che, a volte, assumevano valore artistico per la fantasia usata e per i mezzi caratteristici utilizzati. Spesso nella notte seguente la nevicata il cielo si rasserenava favorendo il gelo.
       In tal caso i pupazzi, veri capolavori, venivano consolidati, rimanevano per lungo tempo a guardia dei caseggiati e delle piazze dove erano stati eretti e attiravano l’attenzione di tutti.
       Le squadre dei ragazzi e dei giovani a Villa del Fuoco si erano formate nel tempo e avevano assunto determinate denominazioni :
nCuppilone
nLu muline
nLa Chise
nTiriticche
nLu raiale
nScamarde
nCitrulle
E come i ragazzi della Via Pal scendevano a gareggiare tra di loro.
       Costruivano slittini, sceglievano i migliori tra i componenti le squadre e facevano varie corse durante la giornata. Non sempre gli arbitri erano d’accordo nell’attribuire la vittoria a questa o quella squadra e si finiva con vere e proprie lotte anche se le munizioni principali erano costituite da palle di neve. A tarda sera e dopo ripetuti richiami delle mamme, stanchi, feriti e malconci i componenti le squadre rincasavano.
         E quando non si poteva uscire per le pessime condizioni atmosferiche ci si riuniva intorno al focolare. Lì si ascoltavano i racconti più belli del nonno o delle persone più anziane ed esperte della famiglia che prima della seconda guerra mondiale era patriarcale
         Ne ho ascoltato tanti e li ho riferiti in parte nei volumi precedenti.
         E’ una consuetudine da conservare nelle famiglie attuali per consolidare il rapporto tra genitori e figli e far conoscere la nostra cultura alle nuove generazioni.
         Nei momenti liberi o vuoti i ragazzi giocavano “a sbattamure”, “a palmitte”, “a spaccasegne”.
         Qual era la posta in palio?
         In genere si usava raramente il denaro, in quel periodo c’erano le monete. L’unità di misura era la lira ed i centesimi che sono tornati di moda con l’euro.
 
         Il soldo era la moneta di bronzo di cinque centesimi, due soldi, moneta dello stesso metallo di maggiori dimensioni e la “nichella”, moneta di venti centesimi o quattro soldi.
         Erano quelle le monete che venivano usate da coloro che le possedevano per i giochi vari ai quali si prestavano come quelli precedentemente citati. In genere erano ragazzi e adolescenti a procurarsele. Ai bambini non ne era consentito l’uso. Quando si giocava “a sassetto”, le monete venivano percosse violentemente, spesso venivano schiacciate e rese irriconoscibili da non poter essere usate per gli acquisti. Il gioco consisteva nel far ribaltare le monete raccolte in pile da parte del giocatore di turno che con un sasso doveva colpire una sola volta le monete.
          Esistevano altre monete come la mezza lira o cinquanta centesimi. Dopo la prima guerra mondiale si ebbero monete fiduciarie da 1 e 2 lire in nichel, da 5, 10, 20 lire d’argento.
          Qualche anno prima della seconda guerra mondiale vidi, conservata in un portamonete di cuoio alcune monete d’argento da cinque lire con grande mia meraviglia.
          Ricordo, inoltre che Nicola Camplone aveva una bicicletta per ragazzi e Giorgio Favalli
ci accompagnava al teatro Michetti quando proiettavano i film che piacevano a noi ragazzi.
          Il costo di un biglietto della piccionaia costava circa una lira che riuscivamo a mettere insieme con estrema fatica per intere settimane prima del giorno stabilito per recarci al cinema.
 
GIOVANNI
      Vi erano a Villa del Fuoco, e Giovanni Cirillo lo mette in risalto nelle sue opere, molte famiglie benestanti.
      Per la maggior parte erano numerose e patriarcali. Nella molteplicità delle figure si potevano scegliere quelle più abili, più rappresentative, più esperte, più competenti e più istruite per consigli vari e per imparare a svolgere adeguatamente le attività e i lavori che la vita quotidiana richiedeva.
       Ho già asserito che la maggior parte dei genitori cercavano di addestrare i figli nel migliore dei modi, di curare la persona in tutti i modi e specialmente con abiti eleganti. Dovevano essere superiore agli altri. La simpatia si suscitava non solo per gli adulti. Ma anche tra i giovani e i giovanissimi. 
       Ai limiti della Parrocchia c’era forse la famiglia più ricca di Villa del Fuoco e vi era un adolescente esile, alto, biondo dai modi gentili e delicati che affascinava tutti, adulti e non, ma specialmente le ragazzine. Il suo nome era Giovanni, definito il bello
        Il proprietario invitò la vigilia di Natale le famiglie vicine e anche quelle dei loro mezzadri e collaboratori.
        Tutti desideravano incontrare Giovanni, il quale, però, aveva l’abitudine di coricarsi molto presto la sera.
         Per fornire l’opportunità di giocare a tombola a tutti, si giocò in quella sera con le castagne.
         Tutta la serata gli ospiti chiedevano di Giovanni. Il padre non desiderava mettere in risalto la carenza del figlio che era andato a dormire con le galline e più volte rispondeva che sarebbe arrivato più tardi. Sul tardi e eper la continua insistenza specialmente dei più giovani il nobiluomo rispose :”Mi hanno riferito che mio figlio Givanni si è recato a giocare in casa di amici dove non si puntano le castagne, ma i soldi”. 
 
IL CENONE NELLA VIGILIA
    Ho asserito che in passato nella vigilia si osservava il digiuno. C’era l’abitudine di non assumere alcun cibo fino a mezzogiorno, ora in cui specialmente ai più piccoli era consentito di fare una breve colazione con pane tostato e caffè d’orzo. Si attendeva la sera per il cenone che prima del Concilio Vaticano II doveva rispettare alcuni criteri di base. Bisognava evitare la carne che, invece, veniva abbondantemente usata il giorno della festa. Il menù era basato essenzialmente su piatti particolari preparati con verdure e pesce.
    Mi sia consentito ora di riferire un particolare della mia vita circa l’alimentazione.
    Nel sottoscala della mia casa paterna, classificata nel periodo di riferimento, come colonica era stata costruita una piccola stalla in cui veniva ogni anno allevato un maiale.
    Mio madre usata i grassi del maiale ucciso in pieno inverno per il condimento.
     Due erano i miei piatti preferiti
nzuppa di fagioli
npesce fritto
Nel periodo precedente e posteriore alla seconda guerra mondiale i pescivendoli richiamavano a viva voce le massaie che si precipitavano sulla strada nella speranza di acquistare i pesci più grandi e prelibati.
Il numero civico della mia abitazione era prima della seconda guerra mondiale 257.
I numeri civici vengono divisi in pari e dispari nei due lati di una strada e, di conseguenza, il mio fabbricato doveva essere oltre il centesimo. Certamente rimaneva lo scarto, cioè il pesce più piccolo che in genere viene usato per le fritture. Forse per la maggiore frequenza delle fritture di pesce o per la maggiore gradevolezza di tale tipo di cottura io lo preferivo a tutti gli altri metodi come il brodetto e l’arrosto.
A dire il vero tra i vari tipi di pesce preferivo la “cianchetta”, una specie di sogliola di
dimensioni ridotte.
Mia madre aveva l’abitudine di rispettare rigidamente un menù settimanale da lei stessa
programmato. Ricordo in particolare i piatti di alcuni giorni.
      Ho asserito che avevo una spiccata preferenza per i fagioli e la mamma il lunedì era solita cucinare “sagne e faciule”. Le sagne o li traiarelli prepararati da lei ed una salsa ottima con l’olio d’oliva, oltre ai fagioli, costituivano gli elementi essenziali del mio piatto preferito del lunedì. Il lettore può immaginare la gioia che io provavo nel ritorno da scuola immaginando il piatto fumante sulla tavola da cucina, adeguatamente apparecchiata da mia madre. Le prime cucchiaiate erano rispondenti al mio desiderio, ma ben presto la delusione quando tra i denti capitava qualche frammento di carne del ragù del giorno precedente. A distanza di oltre mezzo secolo il ricordo è vivissimo....mi sembra di rivivere ancora l a scena....
       Inoltre il giovedì il piatto del giorno era costituito dagli gnocchi che egli stessa preparava sin dalle prime ore del mattino. Erano ottimi i suoi gnocchi perché preparati con semplicità e genuinità.
        Prima della seconda guerra mondiale avevamo una stufa economica “Becchi”. La mamma metteva a bollire un quantitativo di patate sufficiente per la famiglia composta di cinque persone. La maggior parte dei prodotti agricoli provenivano dalla campagna ereditata da mia madre che era originaria di una delle famiglie possidenti di Villa del Fuoco : Achille Di Russo.
Giovanni Di Brigida oltre al vigneto di duemila viti coltivava qualche altro ettaro di terreno “a rotazione” alternandola semina del grano con le patate ed il granoturco. Una volta lessate le patate venivano pelate anche da me se ero in casa e mi piaceva tanto mangiarne alcune scegliendo quelle bianche che ritenevo le più saporite. Alcune massaie schiacciavno le patate abilmente con un piatto, ma la famiglia aveva uno schiacciapatate, arnese da cucina di metallo, forse alluminio, formato di due parti : un contenitore con una parete fittamente forata e somigliante ad un tetto a doppio spiovente rovesciato avente una base di un decimetro quadrato e terminante con un manico. Nella parte superiore della parete forata era collegato un coperchio che a pressione riusciva a schiacciare le patate lessate, pelate e poste nell’apposito contenitore. La mamma aggiungeva la farina ottenuta sempre dalla macinazione
presso il mulino di Guglielmo Spadolini, sito sulla Tiburtina, di fronte all’attuale Istituto Tecnico Commerciale “G. Manthonè”. Riusciva ad ottenere una massa omogenea senza l’aggiunta di altri elementi. Io ero orgoglioso del prodotto ottenuto... Altre massaie non riuscivano ad amalgamare farina e patate, specialmente quando queste erano nuove, cioè nel periodo immediatamente dopo il raccolto e vi aggiungevano qualche uovo che aveva l funzione
di rendere la massa più rigida. Asserisco che mia madre riusciva ad ottenere l’impasto che riduceva in gnocchi con due o più passaggi successivi. Prima formava dei cilindri lunghi meno di un metro e aventi il diametro della base di circa un centimetro. Con estrema abilità produceva degli gnocchi lunghi meno di due centimetri con le basi parallele ed inclinate di circa sessanta gradi rispetto all’asse. Spesso li ornava facendoli rotolare con forza sui denti di una forchetta. Era un vero spettacolo osservare gli nocchi sulla spianatoia tutti modellati con quei piccoli solchi paralleli. C’erano, inoltre, altri particolari da mettere in risalto. Qualche volta rubavo qualche gnocco che mangiavo crudo, ma spesso una parte dell’impasto in piccole porzioni veniva fritto e con l’aggiunta dello zucchero costituiva il dolce che si consumava dopo il pranzo. Ma il piacere del piatto del giovedì veniva frenato quando il condimento a base di lardo si palesava maggiormente per il graduale raffreddamento.   
     Molte volte i genitori e gli adulti credono di educare anzi formare i minori imponendo alcune condotte. Invece spesso si genera in loro malcontento. Alcuni giovani mi hanno riferito che essendo tendenzialmente mancini sono stati costretti a mangiare con la mano destra avendo la sinistra legata dietro la schiena. Oltre ai danni che si provocano certamente rimane in coloro che sono stati obbligati ad un comportamento non naturale un odio profondo verso i loro “educatori”.
 
PLINIO PELAGATTI
 
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